Il Toro è una fede, quasi una religione. Superga è la basilica votiva,
l'altare del sacrificio, dove gli dèi granata, invincibili sul verde
prato, diventarono immortali il 4 maggio del 1949 quando l'aereo che li
riportava a casa si schiantò sulla collina. Quella squadra non era
grande solo sul campo, era esempio di vita sportiva e quotidiana. Non
c'è ricordo di un dolore così grande e collettivo che abbia pesato sul
cuore di Torino e dell'Italia tutta come lo schianto di Superga.
Ricordare il passato vuol dire riportare alla mente la più grave
sciagura sportiva che ha annullato una squadra che tutto il mondo ci
invidiava, lo squadrone di Ferruccio Novo. Quei ragazzi erano la colonna
portante della Nazionale: contro l'Ungheria ben 10 granata vestirono la
maglia azzurra da titolari. Il Grande Torino oggi è ancora lì, con
capitan Valentino al centro del Filadelfia a scambiare il gagliardetto,
Bacigalupo sulla linea di porta, Menti, Ossola e Gabetto si sfregano le
mani, Loik sta parlando con Grezar e Castigliano, Ballarin e Maroso sono
immobili e concentrati aspettando il fischio d'inizio. I granata hanno
il sole in faccia. Mazzola dà il via alla gara con un tocco per Gabetto.
L'incontro inizia... prosegue... continua... per l'eternità.
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