"Le montagne della follia" di Howard Phillips Lovecraft racconta il
catastrofico esito di una spedizione nelle profondità inesplorate del
continente antartico. Farnsworth Wright rifiutò di pubblicare l'opera su
"Weird Tales" perché, a detta dell'editore, troppo lunga. L'orrore, per
stereotipo, necessita di poche molecole di azoto, di respiri corti,
mutili, di un sentimento di morte improvvisa accompagnato da brevi,
fulminanti agonie: chi potrebbe sopportare uno spavento protratto
oltremisura nel tempo? E invece tra le montagne della follia l'eco della
paura si centuplica di grotta in grotta, e la resistenza dei personaggi
e del lettore è spinta al limite della sopportazione. Il Saggiatore
ripropone questo classico in una traduzione finalmente completa, che
rifugge la tentazione di ricondurre a una mal compresa «piacevolezza» lo
stile ossessivo, tassonomico, rituale di Lovecraft. Nella sua prosa
l'orrore opera sempre nella stanza accanto, senza fare ostaggio di
testimoni oculari; riempie le tubature e si riverbera fonicamente tra le
pareti (Tekeli-li! Tekeli-li!), in un linguaggio nero che esisteva già
prima del linguaggio umano e della parola, e che l'uomo non può
decifrare; emana miasmi intollerabili e sconosciuti; lascia tagli ed
escoriazioni ovunque. Ma non si vede. O almeno, non si vede mai del
tutto: si cela nei cunicoli, dietro rocce cadute, al fondo di abissi
glaciali. Così si compone il paesaggio delle "Montagne", dipinto da un
pittore alieno: in un simile sacro bosco, sovrumano, dove catene
montuose di ardesia precambriana si alzano fino all'orlo inimmaginabile
del pianeta, l'uomo diventa cacciagione, preda, o addirittura campione
scientifico da sezionare e notomizzare, crudamente, come un esemplare di
animale raro appena scoperto. La geografia antartica descritta da
Lovecraft, però, è anche e soprattutto una geografia interiore, di certe
latenze oniriche castrate dal meccanismo di rimozione, in cui una
potenza cosmica anteriore al Cretaceo o all'Eocene – e a qualsiasi
categoria temporale postulabile dall'umana ragione – imperversa
originando forme inaudite, abissi impercorribili, vette impossibili da
scalare. E agguanta e annichila tutto ciò che le si para davanti.
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