Quando dico "ti amo" che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto, chi
parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il
mio eccesso, la mia follia? Non c'è parola più equivoca di "amore" e più
intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua
negazione. Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che
l'amore si nutre di novità, mistero e pericolo e ha come suoi nemici il
tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall'idealizzazione della
persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia,
ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e
tramuta l'amore in un affetto privo di passione o nell'amarezza della
disillusione. Qui Freud ci pone una domanda: "Quanta felicità barattiamo
in cambio della sicurezza?". Umberto Galimberti ci consegna un volume
in cui l'acutezza del pensiero penetra i meandri del sentimento e del
desiderio, registrando i mutamenti intervenuti nelle dinamiche
dell'attrazione, nel patto con l'amato/a, nei percorsi del piacere
(dall'onanismo alla perversione). Sullo sfondo si muove, come un
fantasma, continuamente evocato e rimosso, quello che propriamente o
impropriamente gli uomini non smettono di chiamare amore.
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