Anna e suo padre sono "due pupi mossi dalla stessa coppia di aste di
metallo", i fili che li legano sembrano destinati a non spezzarsi mai.
Ma non può essere così – non è mai così – e a diciannove anni, dopo una
malattia che brucia il tempo, Anna perde il padre. Il rispecchiamento in
lui è così forte che Anna, perdendolo, perde sé stessa, si confonde,
senza il suo sguardo è come se fosse diventata niente, e avesse bisogno
di altri occhi per riconoscersi e conoscersi. L'attraversamento del
lutto diventa perciò, necessariamente, ricerca di sé, passando per la
scarnificazione del corpo, il suo oltraggio. Trasferitasi da Napoli a
Roma, Anna si ritrova a doversi mantenere – la madre non può aiutarla
nelle spese né lei vuole gravare –, così si indirizza a un prete grazie
al quale la sua coinquilina ha trovato lavoro come ragazza delle
pulizie. Il prete però la vede bella e le propone un lavoro meglio
pagato, in un night club. Anna è turbata, pensa di rifiutare ma poi
accetta, e c'è repulsione e attrazione nel suo sì. Mescolato al racconto
delle notti in cui si trasforma in Bube, con i muscoli tesi attorno al
palo della lap dance, riemerge il passato, riemergono i vicoli e i bassi
di Napoli, l'infanzia delle veglie con la nonna, i pomeriggi a fare i
compiti con i gemelli Alfredo e Cristina, e soprattutto il padre, la
malattia che scompiglia tutto, la possibilità di esistere nonostante la
morte.
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