Gli attentati a Lima,
Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, gli omicidi di valorosi
commissari di polizia e ufficiali dei carabinieri. Lo Stato in ginocchio, i
suoi uomini migliori sacrificati. Ma mentre correva il sangue delle stragi c’era
chi, proprio in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico. La
sentenza di condanna di Palermo, contro l’opinione di molti “negazionisti”, ha
provato che la trattativa non solo ci fu ma non evitò altro sangue. Anzi, lo
provocò. Come racconta il pm Di Matteo a Saverio Lodato in questa appassionata
ricostruzione, per la prima volta una sentenza accosta il protagonismo della
mafia a Berlusconi esponente politico, e per la prima volta carabinieri di alto
rango, Subranni, Mori e De Donno, sono ritenuti colpevoli di aver tradito le
loro divise. Troppi i non ricordo e gli errori di politici e forze dell’ordine
dietro vicende altrimenti inspiegabili come l’interminabile latitanza (43
anni!) di Provenzano, la cattura di Riina e la mancata perquisizione del suo
covo, il siluramento del capo delle carceri, Nicolò Amato, la sospensione del
carcere duro per 334 boss mafiosi. Anni di silenzi, depistaggi, pressioni ai
massimi livelli (anche dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano),
qui documentati, finalizzati a intimidire e a bloccare le indagini. Ora, dopo
questa prima sentenza che si può dire storica, le istituzioni appaiono più
forti e possono spazzare via per sempre il tanfo maleodorante delle complicità
e della convivenza segreta con la mafia.
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