Ci sono personaggi che
continuano a camminarci in testa anche a libro chiuso, tanto vivi che sembra
d'incontrarli in giro. Vincenzo Malinconico è così, funziona per contagio.
Spara battute a mitraglia e ci costringe a pensare ridendo. «Le volte in cui mi
capita di avere ragione, sono sempre solo»
Mentre vive, Vincenzo
Malinconico cerca di capire come la pensa. Per questo discetta su tutto, benché
nessuno lo preghi di farlo. Abilissimo nell'analizzare i problemi ma incapace
di affrontarli, dotato di un'intelligenza inutile e di un umorismo autoimmune,
si abbandona alla divagazione filosofica illuminandoci nell'attimo in cui ci fa
saltare sulla sedia dal ridere. Malinconico, insomma, è la sua voce, che riduce
ogni avventura a un racconto infinito, ricco di battute fulminanti e di
digressioni pretestuose e sublimi. Puri gorgheggi dell'intelletto. Questa volta
Vincenzo e la sua voce sono alle prese con due ordini di eventi: il
risarcimento del naso di un suo quasi-zio, che in un pomeriggio piovoso è
andato a schiantarsi contro la porta a vetri di un tabaccaio; e la causa di
separazione di Veronica Starace Tarallo, sensualissima moglie del celebre (al
contrario di Malinconico) avvocato Ugo Maria Starace Tarallo, accusata di
tradimento virtuale commesso tramite messaggini, che Tarallo (cinico, ricco,
spregiudicato e cafone) vorrebbe liquidare con due spiccioli. La Guerra dei
Roses tra Veronica e Ugo coinvolgerà Vincenzo (appartenente da anni alla grande
famiglia dei divorziati) molto, molto piú del previsto. E una cena con i vecchi
compagni di scuola, quasi tutti divorziati, si trasformerà in uno psicodramma
collettivo assolutamente esilarante. Perché la vita è fatta anche di
separazioni ricorrenti, ma lo stile con cui ci separiamo dalle cose, il modo in
cui le lasciamo e riprendiamo a vivere, è - forse - la migliore occasione per
capire chi siamo. E non è detto che sia una bella scoperta.
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