Per la collana
“Ritratto di una città” il prof. Bruno Barba ci porta a Rio de Janeiro, città
che è in procinto di ospitare le Olimpiadi 2016 dopo aver ospitato i mondiali
di calcio 2014. Accantonando per un attimo i problemi sociali delle favelas e
le implicazioni politiche della storia contemporanea, Barba si addentra nella
vera e propria essenza di Rio, alla ricerca della bellezza come forma di
ritualità. “Inconsapevole, innocente, pura, Helô Pinheiro passava sempre,
diretta al mare, dal bar Veloso, in Rua Montenegro. Passava e si faceva
ammirare, tra gli altri, da due già maturi signori, Vinícius di cinquant’anni e
Tom di trentacinque.” Cuore di tutto il volume, simbolo e sintomo dell’essenza
estetica della città è questo brano sull’incontro tra De Moraes, Jobím e la
vera Garota de Ipanema della canzone.
“La garota che è meglio
ricordare è quella eterea visione, quella paradisiaca immagine della bellezza
«che non è solo mia», ma che appartiene all’universo. Perché se fosse stata
soltanto dedicata a lei, seppure ragazzina attraente, e non all’eterno
femminino, quale senso avrebbero avuto le interpretazioni di Frank Sinatra,
Ella Fitzgerald, Nat King Cole, Louis Armstrong, Al Jarreau, Caterina Valente e
tanti altri?” si chiede l’autore. Ma quella languida passeggiata simboleggiava
ben di più: un periodo e un ambiente artistico che vide alternarsi al bar
Veloso (oggi il turistico e snaturato Garota de Ipanema) personaggi come i
cantanti “maledetti” celebratissimi in Brasile, ad esempio Cazuza, baiani
celebri come il regista Glauber Rocha, l’artefice del Cinema Novo, e Caetano
Veloso; artisti plastici quali Hélio Oiticica, che presentò, al Museo di Arte
Moderna di Rio nel 1967, un’installazione plastica chiamata Tropicalia, che
diede vita al movimento omonimo. E, ancora, personaggi come Jaguar, disegnatore
e giornalista, uno dei responsabili del “mito di Ipanema” perché accompagnò
tutta l’esistenza del Pasquim, un settimanale unico nel suo genere, carico di
caustica ironia, satira politica, proprio nei momenti più cupi della dittatura
che diede vita al movimento omonimo.
Ma nel milieu di
Ipanema (letteralmente acqua grama, solo per atletici) degli anni 50 e 60 del
Novecento si mossero anche personaggi come Jorge Amado che con Gabriella
garofano e cannella (1958) portò all’attenzione della letteratura mondiale la
bellezza tipica delle mulatte di Rio. E ancora quell’ Oscar Niemeyer, amico e
collaboratore per il film Orfeo Negro (vero e proprio manifesto delle origini
africane dei brasiliani) del già citato Vinícius de Moraes e “archistar”
antelitteram di cui ancora oggi si possono apprezzare le futuristiche forme
architettoniche del Mac (Museo di arte contemporanea) del sobborgo di Niteròi.
Senza dimenticare il livornese “naturalizzato” brasiliano Arduìno Colassanti, surfista
e attore che cavalcò le onde del promontorio dell’Arpoador.
La prosa di Barba, vero
innamorato della città carioca, è un profluvio di descrizioni appassionanti e
di frasi a effetto che coinvolgono il lettore: scrive a un certo punto
Intelectual não vai á praia, intelectual bebe, «L’intellettuale non va in
spiaggia, l’intellettuale beve». Un modo del tutto giocoso per sfoderare la sua
impressionante conoscenza della città e metterne a parte il turista
consapevole, ma anche, come nello spirito della collana, il viaggiatore seduto
in poltrona che con una cachaça in mano e un cd di bossa nova nello stereo già
accarezza il sogno di un’estate nella città più poetica del mondo.
Bruno Barba è
ricercatore di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Sociali
dell’Università di Genova. Da oltre vent’anni studia il meticciato culturale e
il sincretismo religioso del Brasile. Tra le sue pubblicazioni: Bahia, la Roma
Negra di Jorge Amado (2004); Un antropologo nel pallone (2007); Tutto è
relativo. La prospettiva in Antropologia (2008); La voce degli dei. Il Brasile,
il candomblé e la sua magia (2010), La XXXIII squadra (2010), Dio negro (2013),
No País do Futebol (2014).
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