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mercoledì 8 ottobre 2014

Christiane deve morire di Veronica Tomassini. Lettera al lettore di Giovanni Pacchiano (Gaffi). Intervento di Nunzio Festa



Se c'eravamo concessi una licenza di dubbio sull'esordio narrativo di Veronica Tomassini, "Sangue di cane" (Laurana, Milano, 2010), specie proprio nel mondo della lingua e in alcune speculazioni della pur originale trama, con "Christiane deve morire" dobbiamo dire che siamo davanti al cosiddetto libro perfetto, al romanzo entusiasmante per stile e tempi narrativi. L'io narrante, la giornalista pubblicista siciliana diventata improvvisamente single Varrrani, innamorata fin dall'infanzia di tutta la vita piena di "Noi ragazzi dello zoo di Berlino" e che pensa costantemente ai colori sdrutici d'opere anche magistrali - vedi il Testori di "In exitu" -, è una innanzitutto una disobbediente: perché, costretta dal direttore del suo giornale a dare sempre articoli scellerati sui rom del campo della sua città, non si piega. Ed entra in quel luogo. Eliminando i primi confini. Così come non aveva accettato, d'altronde, di bucarsi quando durante l'adolescenza fatta i vari Alfredo, Massimo, Cetty, Filippu u pazzu, stavano girando le scene della loro breve e intensa esperienza di tossici di periferia: Alfredo si salverà però non vorrà più riconoscerla. Tutti gli scarti dell'umanità presi a modello da Tomassini, permettiamoci questa brutale indicazione di lettura, sono sentiti insomma per spiegare disperazione universale e solitudine universale. Non è giusto, comunque, dire che la prosa lirica di Veronica Tomassini, tra l'altro non sempre accentata di lirismo, redime queste soggettività. Invece in Christiane l'autrice sicialiana riesce proprio, nel rispetto dei personaggi descritti, a ridarci figure piene di difetti, valori e contraddizioni. Ché la scrittrice, appunto, vuole dire con lo strumento del racconto tutto quel che dobbiamo vedere. Tutto durante la perdita dell'unica certezza che la protagonista sembra possedere. Perché quel marito nulla aveva fatto immaginare, giocando con il calore dei supermaket da famiglia perfetta insomma, prima di scappare. Che sparisse con un'altra, Varrani mai se lo sarebbe aspettatto. I piccoli piccoli dell'opera, poi, i redattori di provincia del giornale locale somigliano appieno alla realtà del caso. Inutile qui specificare con che bravura Veronica Tomassini, collaboratrice adesso al Fatto quotidiano, riferisce di qualunquismo e pregiudizi negativi riversati in genere sugli 'ultimi' della terra. Dove i rom sono il principale punto d'arrivo di qualsiasi discorso razzista del genere. Allora Tomassini è costretta a narrare della dolcezza e della violenza, delle sofferenze e delle gioie di questi mondi ulteriori. Certe volte i dialoghi sono addirittura colpi di spranga. Spesso le aperture d'immagini dei quadri espressionisti. Eppure noi amiamo soprattutto quando, tra citazioni letterarie e memorie proprie, l'io del romanzo esprime tutta la poesia che fa.

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