Se c'eravamo concessi
una licenza di dubbio sull'esordio narrativo di Veronica Tomassini,
"Sangue di cane" (Laurana, Milano, 2010), specie proprio nel mondo
della lingua e in alcune speculazioni della pur originale trama, con
"Christiane deve morire" dobbiamo dire che siamo davanti al
cosiddetto libro perfetto, al romanzo entusiasmante per stile e tempi
narrativi. L'io narrante, la giornalista pubblicista siciliana diventata
improvvisamente single Varrrani, innamorata fin dall'infanzia di tutta la vita
piena di "Noi ragazzi dello zoo di Berlino" e che pensa costantemente
ai colori sdrutici d'opere anche magistrali - vedi il Testori di "In
exitu" -, è una innanzitutto una disobbediente: perché, costretta dal
direttore del suo giornale a dare sempre articoli scellerati sui rom del campo
della sua città, non si piega. Ed entra in quel luogo. Eliminando i primi
confini. Così come non aveva accettato, d'altronde, di bucarsi quando durante
l'adolescenza fatta i vari Alfredo, Massimo, Cetty, Filippu u pazzu, stavano
girando le scene della loro breve e intensa esperienza di tossici di periferia:
Alfredo si salverà però non vorrà più riconoscerla. Tutti gli scarti
dell'umanità presi a modello da Tomassini, permettiamoci questa brutale
indicazione di lettura, sono sentiti insomma per spiegare disperazione
universale e solitudine universale. Non è giusto, comunque, dire che la prosa
lirica di Veronica Tomassini, tra l'altro non sempre accentata di lirismo,
redime queste soggettività. Invece in Christiane l'autrice sicialiana riesce
proprio, nel rispetto dei personaggi descritti, a ridarci figure piene di
difetti, valori e contraddizioni. Ché la scrittrice, appunto, vuole dire con lo
strumento del racconto tutto quel che dobbiamo vedere. Tutto durante la perdita
dell'unica certezza che la protagonista sembra possedere. Perché quel marito
nulla aveva fatto immaginare, giocando con il calore dei supermaket da famiglia
perfetta insomma, prima di scappare. Che sparisse con un'altra, Varrani mai se
lo sarebbe aspettatto. I piccoli piccoli dell'opera, poi, i redattori di
provincia del giornale locale somigliano appieno alla realtà del caso. Inutile
qui specificare con che bravura Veronica Tomassini, collaboratrice adesso al
Fatto quotidiano, riferisce di qualunquismo e pregiudizi negativi riversati in
genere sugli 'ultimi' della terra. Dove i rom sono il principale punto d'arrivo
di qualsiasi discorso razzista del genere. Allora Tomassini è costretta a
narrare della dolcezza e della violenza, delle sofferenze e delle gioie di questi
mondi ulteriori. Certe volte i dialoghi sono addirittura colpi di spranga.
Spesso le aperture d'immagini dei quadri espressionisti. Eppure noi amiamo
soprattutto quando, tra citazioni letterarie e memorie proprie, l'io del
romanzo esprime tutta la poesia che fa.
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