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giovedì 25 ottobre 2012

Recensione di Alessandra Peluso su La domenica pensavo a Dio / Sonntags dachte ich an Gott di LUTZ SEILER, a cura di Paola Del Zoppo, Roma (Del Vecchio Editore).



« ... Il genio del cuore che fa ammutolire ogni voce troppo sonora e ogni compiacimento di sé insegna a porsi in ascolto, che leviga le anime scabre e infonde loro un nuovo desiderio da assaporare  - quello di starsene taciturni come uno specchio affinchè in esse si rispecchi il profondo cielo. ... Il genio del cuore che sa divinare il tesoro occulto e obliato, la goccia di bontà e di dolce spiritualità sotto un ghiaccio torbido e spesso, ed è una bacchetta magica per ogni granello d’oro, che a lungo sia restato sepolto nel carcere di molto fango e sabbia ... ».  Nei versi di Ecce homo, opera come sappiamo di Nietzsche, identifico Lutz Seiler e l’intera raccolta di poesie La domenica pensavo a Dio. La genialità dell’autore trabocca come sorgente fresca e zampillante in ogni singolo verso e trasforma con una bacchetta magica estraendo dalla seppellitura ogni parola fuori dall’ordinario. Il suo modo di scrivere è infatti stra-ordinario, non rientra affatto nella consuetudine dei versi contemporanei. L’intera raccolta di poesie narra la sua vita in un modo insolito come se scrivesse un romanzo. Il poeta tesse la tela di un racconto che da un inizio potrebbe portare ad un improbabile fine. Utilizza una miriade di strumenti stilistici, letterari che darebbero modo a diverse interpretazioni ma che hanno un solo senso, quello che soltanto l’autore sa: ogni parola non è lasciata al caso, tutto ha un significato e una storia, persino termini come pech / blenda o & sono pregni di senso e significato.     Si legge nella poesia pech & blenda: «il soffio su di noi dai grandi alberi abitati / da sempre immerso / nel tempo dei discorsi, lingua degli alberi / ... / che anche nostro padre lo gradiva, lo / chiamava un sostegno alla memoria, una cabina di / controllo dal suo cuore, seme / di passi appena mossi, di mezzi cingolati, di oli e minerali /... /». (pp. 37-39). Con questi versi il lettore danza ad un ritmo tarantolato, sud e nord del mondo si identificano - forse la similitudine può apparire azzardata - questa musica, e si fa trasportare, sconvolgere, inquietare proprio perchè Seiler narra la triste e solitaria vita di un paesino piccolo della Turingia, Gera. Qui si lavorava nelle miniere di uranio, l’isotopo 235, in particolare, chiamato in lingua tedesca pech & blenda, minerale radioattivo estratto nelle miniere di uranio della DDR della Società Wismut, su commissione dell’Unione Sovietica e dove la gente come suo padre si riduceva ad ossa contaminate, divorate dalle radiazioni: «l’osso biancastro sì erano ossa / con minerali e oli russi /» (p. 39). I versi si snodano muovendo da un ritmo tarantolato ad un dondolio leggiadro:  «dalle altalene giù / bulloni in autuno & su / in aprile. Ogni giorno / la periferia pendola sotto / gli alberi e ogni ora / sui cortili del cielo cadono/ rondini sbriciolate & ne risalgono ben ricucite: la gravità / pende dai loro occhi». (p. 53) Allitterazioni, enjambement si alternano vorticosamente in questa poesia e nell’intera raccolta. Pertanto definirei Lutz Seiler il filosofo della poesia. Canta le sue liriche come Nietzsche e Camus i loro pensieri, con una sublime e originale forma che fonda una possibile poesia di vita, densa di significato e di senso, capace di comunicarla. Ecco che questa vita narrata erompe dalla bocca del poeta come il suo desiderio di parlare, la bramosia di farsi ascoltare perchè nessuno dimentichi la sua storia. Seiler dà il titolo all’opera La domenica pensavo a Dio, lo stesso titolo di una poesia che aveva scritto «la domenica / mentre / giravamo la città in autobus. / alla pozza per gli incendi sulla strada una cabina / elettrica & quaranta & tre / cavi correvano dall’aria in quella cabina di compatti mattoni cotti; là / nella cabina sulla strada abitava dio [...]». (p. 5). Il poeta narra un triste avvenimento in cui aveva assitito da giovane: la morte di un uomo fulminato dai cavi elettrici di una cabina sul ponte elevatore.  Poi si legge: «i passi ricordano il buio, la pausa / tra le lezioni nel bosco, il suono sulla scala, il battito / sui nomi comuni il sale del ricordo, premuto / & assordato dietro le orecchie / si fermava il tempo, dall’ / infanzia qualcosa era / pronta per dopo, da sempre / valido da più tempo ... è un sale di / uccelli spezzati dietro le orecchie, ... /». (pp. 99-111). E ancora: «si posa il breve pelo verde / dalla terra dal / lato pallido, non / lisciato, si tende il manto della / bocca nelle citazioni, così come /... /». (p. 127).  Questo modo di narrare i versi fa pensare alle liriche di Heinrich Heine, celebre poeta tedesco, che ha raccontato con abilità stilistica, dando un tono ai suoi versi anche nell’esprimere sensazioni e sentimenti personali.    
   Così si ascolta il ritmo leggendo: «il luogo germina sotto / la mano, nel viso, parlando / con la bianca / cruda, faccia interiore /... /» (p. 145) e:  «delfino o farfalla - / che concatenazioni, inventate, segni dalla / gomma dura delle cuffie: nome / classe, lettere / grandi, già sciolta / la scritta a sfera calcata / sulla colonna cranica ... / ... /: delfino o farfalla - / Chi sa nuotare, narra / dell’approdo alla sua vita ossa / atrofizzate pinne a farsi / gambe di ragno la sera, anche / al crepuscolo degli alberi: ma / ... / ». (pp. 175-177); non si può non notare la drammaticità della realtà vissuta con uno straordinario uso di metafore forse per rendere più degno a lui e al lettore il passato di una vita vissuta.  E tuttavia: « / ... / ti è saltato in pieno viso & / senza fiato due secondi hai / cantato con la voce morta / del tuo canto». (p. 183). Sono canti che accomunano l’intera sinfonia di Lutz Seiler che si ascolta come se fosse la sinfonia di Richard Wagner, L’anello del Nibelungo che costituisce un continuum narrativo comprendente i quattro drammi musicali da L’oro del Reno al Crepuscolo degli dei. Proprio nella magica ma al tempo stesso inquietante musica wagneriana si dipana la poesia di Seiler, l’autunno: «è silenzio & uso. L’autunno / è rastrello, legno, è lieve / frescura sugli occhi & / una pelle d’oca fortuita. /... / stagionano i progetti. Il fogliame brucia, la sabbia / ancora calda sotto la cenere, ora lo avverti / sulla tua mano: qualcosa vuole / andarsene & qualcosa non partire mai ... /». (p. 227). La domenica pensavo a Dio è «una fonte inesauribile dove non si può calare il secchio senza farlo risalire colmo d’oro e di bontà». (Nietzsche).

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