Passionalmente argomentato,
ricercato in un modo che inebria e colmo di storie memorabili di gente comune,
“Quiet” mette in vetrina la misura in
cui gravemente sminuiamo gli introversi, e quanto di quel “Noi” di cui restiamo
privi nel comportarci così. Prendendo in analisi un lettore durante il viaggio
dal luogo natio di Dale Carnegie fino alla Harvard Business School, un
seminario di Tony Robbins in una mega chiesa evangelica, Susan Cain disegna l’ascesa
dell’ “Ideale di Estroversione” lungo il dodicesimo secolo ed esplora i suoi effetti nel tempo. La
scrittrice parla agli studenti asiatico- americani che si sentono alienati
dall’atmosfera esuberante e beffeggiatrice
delle scuole Americane. Ella si interroga sui valori regnanti nella
cultura Americana collettiva, dove la collaborazione forzata può battere
persino il sentiero per l’innovazione e dove il potenziale degli introversi
viene spesso guardato dall’alto verso il basso. E la scrittrice attinge dalle
ricerche d’avanguardia in ambito psicologico e neuro scientifico per giungere a
palesare le differenze sorprendenti tra il mondo degli estroversi e quello
degli introversi.
Forse molto più stimolata nel
dare degli esempi, la Cain
ci presenta alcuni introversi di successo: da un brillante oratore al cospetto
di un pubblico accalorato che però rifocilla la propria fame di solitudine dopo
i discorsi, ad un imprenditore “divoratore” di record che sommessamente attinge
dal potere delle domande. Infine, la
Cain regala preziosi consigli su ogni cosa, da come condurre
meglio la macchina delle differenze nelle relazioni tra introversi ed
estroversi, a come tonificare l’Io di un
bambino introverso sino a renderlo consapevole di essere un “estroverso che fa
finta di essere introverso”.
Questo libro straordinario possiede il potere di trasformare
fermamente il cieco sguardo con cui
puntiamo gli introversi e alla stessa stregua quello pullulante di
ombre con cui questi ultimi scrutano se stessi. “‘Ché a tener lo sguardo chiuso
si uccidono bellezze…”
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