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giovedì 9 febbraio 2012

Guida alla conoscenza della biologia e dell'ecologia del suolo di Cristina Menta (Perdisa). Intervento di Vander Tumiatti*


Il percorso sviluppato sino ad oggi con i miei interventi proposti sulle pagine di questo quotidiano, ha avuto e ha (visto che tutt’ora conservano la stessa finalità e la conserveranno anche in futuro) l’obiettivo di proporre ai lettori una chiave d’indagine quanto più attenta possibile alle questioni concernenti l’ambiente, sotto molteplici aspetti, da quello sociale a quello prettamente culturale. Con una consapevolezza di fondo: che ci troviamo in un paese qual è l’Italia, che può dirsi con orgoglio una nazione ricca non solo di arte e cultura, ma anche di un patrimonio, in termini di biodiversità, che ha pochi confronti nel nostro continente. Una risorsa preziosissima, che abbiamo il dovere di preservare. Dunque ho sempre avvertito la necessità di occuparmi con senso critico di ambiente e informazione, con la consapevolezza che non si legge mai troppo, non si indaga mai troppo, non si fa mai troppo per l’ambiente. Di recente ho avuto il piacere di scoprire in libreria una pubblicazione della casa editrice Perdisa, nella collana “Educazione ambientale”, diretta da Mario Ferrari. Il lavoro è di Cristina Menta, docente di Biologia del suolo presso il Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale dell’Università di Parma, nonché ricercatrice presso il Museo di Storia Naturale della stessa città. Il titolo è “Guida alla conoscenza della biologia e dell'ecologia del suolo”. Si tratta di un lavoro di facile comprensione - anche se in più di qualche occasione non mancano gli approfondimenti tecnici e linguaggi specifici - che ci dice quanto il terreno, il suolo, sia una risorsa per l’ambiente e che, in quanto entità biologica complessa ( dal momento che limita i danni provocati dagli inquinanti immessi nel terreno e determina la qualità di produzione dei nostri alimenti), va monitorata e analizzata costantemente. Pur sapendo, però, che gli studi sulla sua biologia e sulla sua ecologia sono arretrati rispetto a quelli relativi ad altri elementi naturali come l’acqua e l’aria. L’opera conduce per mano il lettore nel sorprendente mondo della biologia e dell’ecologia del suolo, fattore indispensabile sul piano argomentativo per l’eco/sostenibilità. Il volume stimola una serie di riflessioni su come sia cambiato nel tempo il nostro rapporto con la terra a causa dei mutamenti culturali indotti dallo sviluppo della tecnologia. Nel tempo che stiamo vivendo, in cui assistiamo al trionfo dell’immaterialità, parrebbe infatti quasi bizzarro occuparsi di quanto c’è di più “materiale” in senso fisico, ma anche culturale, come la “terra”. Un aspetto che viene spesso trascurato è Il tempo necessario alla formazione del suolo: tempi lunghissimi, a volte secoli. Addirittura millenni, come nel caso delle paludi. Oppure delle torbiere, che crescono solo di circa 1 mm all’anno. In altre parole, per formare 2 metri di torba bisogna aspettare ben 2000 anni! Si calcola che la formazione dei suoli agrari abbia richiesto addirittura milioni di anni. Ma ci sono bastati pochi decenni per degradarli e depauperarli dei loro elementi costitutivi a seguito di un uso improprio delle tecniche dell’agricoltura intensiva. E’ ormai indispensabile investire di più in una ricerca il cui scopo sia quello di promuovere un'agricoltura più conservativa e meno “aggressiva”. Si tratta in pratica di abbandonare la strada percorsa finora, quella dello sfruttamento del suolo al solo scopo di massimizzare i profitti, per imboccare percorsi più virtuosi dove, senza trascurare le leggi dell’economia, la terra possa essere oggetto del rispetto e delle attenzioni che merita. Un problema serio, spesso sottovalutato, è quello della desertificazione di vaste aree nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli industrializzati, seppure con motivazioni tra loro molto diverse. Nel nostro Paese, una gestione del territorio inadeguata alle reali necessità ha fatto sì che circa due terzi dei suoli manifestino i segni di un degrado crescente. E ciò è particolarmente vero nelle aree a più forte presenza umana. Un problema legato, da una parte, allo sviluppo considerevole delle tecniche agricole, che ha peraltro determinato un significativo incremento di produttività, dall’altra a scelte di politica urbanistica insensibili al tema della tutela del suolo e alle sue delicate relazioni con l’intero ecosistema. La terra costituisce infatti un elemento chiave nella regolazione dei cicli naturali in quanto agisce da filtro che depura l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo; svolge una funzione biologica, ospitando la vita di moltissimi esseri viventi, tra cui innumerevoli microrganismi, funghi, animali, piante; e’ fonte primaria di materie prime; riveste un’importante funzione economica per le produzioni agricole e forestali; svolge un’importante funzione culturale sotto forma di paesaggio e di luogo dove si imprimono i segni della storia e delle svariate attività umane. Ma, soprattutto, è il posto dove poggiamo ogni giorno i nostri piedi, che sorregge la nostra casa e sorreggerà quella dei nostri figli e delle generazioni che verranno. E, almeno fino a quando non riusciremo a colonizzare altri mondi, anche l’unica nostra possibilità di vita.

*Esperto Unep e fondatore di Sea Marconi Technologies

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