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giovedì 16 febbraio 2012

Dipendenze, abbandoni e strane forme di sopravvivenza, di LORENZO PEZZATO (Faloppio, LietoColle). Intervento di Alessandra Peluso


Accostatami alla lettura del libro di Lorenzo Pezzato, Dipendenze, abbandoni e strane forme di sopravvivenza, la prefazione mi ha esplicitato il tema principale, la spira dell’intera matassa poetica, ossia la crisi, la decadenza del mondo occidentale, dove l’unico valore, preferisco definirlo pittosto che “entità parassitaria”, è la poesia.
La poesia è vita, necessità di esserci: una necessaria illusione per sopravvivere all’orrore del nulla. «La verità è brutta: abbiamo l’arte per perire a causa della verità». (Nietzsche).
E qual’è questa verità? Può essere quella descritta da Lorenzo Pezzato nelle sue quantomai realistche poesie. Si legge infatti: «Posso accettare la laurea / ad onore la pensione statale / per gli artisti, quel che si vuole / purchè sia un riconoscimento / al talento e non una montagna / da scalare un percorso da compiere / con fatica e applicazione / ... Una poesia si cancella, non si riscrive». (p. 19). Sublime il valore che vien dato alla poesia com’è opportuno, indispensabile per l’essere umano. Ed emerge la “questione dei talenti”, dei meriti, che non rappresentano il metro di valutazione nella società odierna, ma a sostituirli è ben altro, a primeggiare è altro, è quell’“aliud” che non oso specificare, taccio. Così si legge Nella parabola dei talenti: «Scagliano versi con fionde rudimentali / come ciottoli da tavole di legge frantumate / nel passaggio al nuovo millennio, / contemporanei poeti a corta gittatata / stelle filanti / talenti in parabola discendente». (p. 20).
   Pertanto, intravedo la lotta a cacciare la preda migliore, a raggiungere la meta prefissata senza scrupoli, nè rimorsi, a puntare dritto l’obiettivo lasciando a terra sfiancate le proprie vittime, questo vedo, colgo con gli occhi dell’anima, lasciando un’amara sensazione di immobilismo, incapacità di cambiare la realtà che si rispecchia nel consumismo, nel “dio” denaro, nell’individualismo, nell’inquinamento, nella comunicazione virtuale. Proprio questo tipo di comunicazione che aiuta a relazionarsi, a comunicare in qualche modo, comporta alle volte il mutamento della propria identità, perciò l’individuo è portato ad assumere maschere proprio come in teatro, l’individuo si spersonalizza.
Si legge: «Contatti umani / nella rubrica, amici / lontani o s-conosciuti / epistolari muti virtuali / frammenti di conservazioni / rimaste in sospeso relazioni / a tempo determinato che a volte / ho segnalato come “importanti”». (p. 31). E ancora: «Aspettano bavosi un pertugio in cui infilarsi / per brillare un attimo solo di celebrità mediatica / d’immortalità istantanea / poi essere interrati per sempre dimenticati / sotto milioni di clic isterici». (p. 35). L’Io individuo si aliena nelle relazioni sociali, lo sa bene Pezzato che avverte la necessità di essere diversi: «L’guaglianza è una follia / la differenza è guardiana / dell’imperfezione il tassello / che manca alla finitezza per farsi sferica completa / e condannarsi all’implosione». (Diverso è bello) e necessario, p. 64.
Ma come si può fare a salvare l’identità personale dell’individuo in un mondo siffatto, caratterizzato dalla logica ferrea e implacabile dell’omologazione degli stili di vita. L’individuo contemporaneo, ricorrendo al pensiero simmeliano, è il prodotto raffinato di un’articolata differenziazione sociale, si tratta di esserne consapevoli e di non lasciarsi invadere da una razionalità a-coscienziale, sfruttando le proprie capacità e quelle che il mondo offre. Senza dubbio Lorenzo Pezzato possiede questa consapevolezza. Le sue poesie hanno chiara la condizione dell’individuo quanto mai disorientato in un mondo dominato dalla specializzazione delle professioni e dalla razionalizzazione.
   Nell’era della globalizzazione si assiste alla distanza spazio-temporale, alla spersonalizzazione per cui i sentimenti e i valori sono oggetto di relazioni economiche e la comunicazione verbale tende ad essere assorbita dalla comunicazione virtuale. È questa la condizione dell’uomo contemporaneo: arrogante e pieno di sè, che non è più disposto ad accettare i modelli del passato e vive accontentandosi della sua “medietas” come uno “specialista senza cultura” (Weber). Mentre, il razionalismo esasperato promuove un crescente irrazionalismo che Nietzsche configura appunto nell’uso incontrastato delle tecniche, in una cultura dominata della regione e dal calcolo, nel lavoro che la società esalta (se pur in questo momento epocale indispensabile), tralasciando la riflessione filosofica, e quello spirito dionisiaco, creativo, vitale, necessario nella tragedia greca quanto nella vita moderna, che implode nella poesia.  Da questa amara e distaccata analisi, emerge una speranza nelle poesie di Pezzato, ossia che la nascita della consapevolezza di questo “status quo” porterà alla rinascita per le future generazioni. Eppur tuttavia, mi piace concludere con questi versi, se pur non gli ultimi dell’intera raccolta, «Figlio mio / tutto questo un giorno sarà tuo / maledirai la madre bestemierai il padre per la croce / cui il gesto candido ti ha inchiodato / ma durerà tre giorni appena / risorgerai a nuova comprensione e sarà luce / sarà vita vera». (p. 46). Il dolore profondo dell’autore probabilmente condivisibile da molti lettori, il timore per le future generazioni contiene la speranza di salvezza, pur intuendo personalmente, una velata ironia. È come la fine di un amore, sei certo che lui ti ami e tu ami lui, ma poi si conclude con la rottura del rapporto.


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