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venerdì 13 gennaio 2012

Kurumuny presenta “Due settimane nei grandi magazzini - Gli Sweat-shops in estate” di Annie Marion MacLean






















La diffusione del lavoro e lo sviluppo urbano segnano i processi sociali statunitensi nella seconda metà del XIX secolo e legano masse di lavoratori, in gran parte unskilled, al lavoro e al controllo realizzati nelle realtà industriali, delle quali gli sweat-shops, come i nuovi insediamenti commerciali, sono modello di alto tasso di sfruttamento, paga incredibilmente bassa e profonda concorrenza tra lavoratori scarsamente sindacalizzati. La città, protagonista di sogni e progetti da parte dei suoi abitanti, è anche il luogo di inedite segregazioni degli individui e di comunità, etniche come religiose, rinnovate e tra loro in gran parte contrapposte, frammentazione irreversibile di un processo nel quale è destinato a trionfare l'individuo consumatore. In questa realtà emerge una rinnovata collocazione femminile, la quale, all'interno di una concorrenza oggettiva con la forza lavoro maschile, più protetta e sindacalizzata ma certo più costosa, esplica una presenza nei vari luoghi del lavoro, nella quale subalternità ed emancipazione si uniscono, in un processo di distacco dalle tradizioni familiari, di solitudine ed anonimato inediti ma anche di crescenti relazioni, anzitutto con altre donne. Il lavoro, con tutte le sue contraddizioni, è alla radice di questo percorso, e mentre segna per le donne nuove dislocazioni urbane, articolazioni di classe, relazioni, implica comunque un percorso di autonomia e marginalità, distacchi e progettualità, , affermazioni e sconfitte che costellano la strada di una eguaglianza a lungo solo silenziosamente ipotizzata ed ora progressivamente enunciata e praticata. I due saggi di Annie Marion Mac Lean, presenti nel volume, sono intrisi di questa prospettiva della quale rendono evidente testimonianza.



Annie Marion MacLean (Prince Edward Island, Canada, 1866 - Pasadena, USA, 1934), sociologa di origini canadesi ma divenuta americana per propria volont?, animata, come altre giovani docenti e ricercatrici, da un interesse profondo e continuo per la riforma sociale, ha contribuito in modo sostanziale alla istituzionalizzazione e allo sviluppo della sociologia. Questo, la sua lunga attivit? didattica e di ricerca nell'universit?, la peculiarit? del suo approccio analitico, la continuit? della sua collaborazione all'American Journal of Sociology, la sua presenza nell'American Sociological Society e nell'associazione Kappa Alpha Theta non sono valse (a lei come ad altre donne, prima delle quali Jane Addams) a farle superare la marginalit? di collocazione all'interno dell'Universit? di Chicago e ad avere un pieno riconoscimento accademico. Le sue ricerche, fondate sul metodo del lavoro di contatto e della raccolta di dati di prima mano, hanno come referente principale le condizioni di lavoro delle donne (e dei bambini) interne ai processi contraddittori di sviluppo degli Stati Uniti della seconda met? del XIX secolo. Le sue indagini sul lavoro nei grandi magazzini, negli sweatshops, nella raccolta di luppolo sono essenziali non solo per i metodi seguiti ma anche per l'attenzione rinnovata ai processi contemporanei di emancipazione e subalternit?, di autonomia e sfruttamento determinati dalle nuove realt? sociali. Questi interessi traspaiono anche dai suoi principali volumi Wage Earning Women (1910), indagine sul lavoro femminile svolta in collaborazione con il Comitato direttivo nazionale dell'YMCA e realizzata attraverso una presenza in centinaia di fabbriche, Women Workers and Society (1916), analisi delle condizioni di lavoro femminili in una "fabbrica modello", mentre i suoi interessi, anche contraddittori sul piano teorico, per l'immigrazione trovano espressione nel volume Modern Immigration (1925), chiaro invito per i nuovi immigrati a una americanizzazione che riconosca le condizioni culturali, e di potere, esistenti facendone premessa per i processi di integrazione.

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