“GENNARO ESPOSITO - Quarant’anni
e se mi volto indietro vedo un ragazzo di 15 che si divide tra svogliate
lezioni alla scuola alberghiera e fine settimana ed estati passate a tritare
prezzemolo e pulire verdure nelle cucine di trattorie del mio paese. A
quell’età sapevo che avrei fatto il cuoco, non sapevo come e dove. Così quando
mi parlano di “fuoco sacro”, so che passa attraverso la ripetizione per
migliaia di ore degli stessi gesti quotidiani. E so anche che una carriera
necessita di coincidenze favorevoli e combinazioni fortunate. La prima di
queste è stata incontrare Vittoria che, dopo qualche esperienza interessante in
giro per l’Italia, mi convinse e mi incoraggio ad aprire un nostro ristorante
in un locale di famiglia alla Marina di Seiano. Era il novembre del 1991 e
l’unica certezza che avevo era che non avrei fatto le stesse cose che facevano
decine di ristoranti della Costiera. I
quattro anni successivi sono fatti di lavoro, lavoro e lavoro, in attesa che
accadesse qualcosa che potesse essere definito ”la svolta”. Non potevo
accontentare me stesso e la mia clientela con qualche abbinamento stravagante,
di salse non in linea con la tradizione e delle materie prime di qualità,
specialmente pesce, ortaggi e formaggi, legate alla ricchezza del territorio, e
che trovate ancora oggi nella mia carta. E’ a questo punto che arrivano quattro
durissimi mesi di stage da Vissani, fondamentale per capire che la cucina che
avevo immaginato non fosse soltanto una chimerica ossessione, ma era invece lì,
a portata di mano, di pensiero di capacità creativa, di indirizzo teorico e
pratico, di felice realizzazione. Nascono allora o subito dopo alcuni piatti
che hanno fatto la mia fortuna e che mi hanno dato visibilità nel panorama
nazionale, come, ad esempio, la parmigiana di pesce bandiera o la zuppetta di
ricotta di fuscella con le triglie. Il mio stile di cucina è rimasto questo:
pescare dal territorio e costruire piatti che soddisfino i sensi e la mente dei
miei clienti. Il 2001 è una pietra miliare della mia storia: la prima stella
Michelin e l’esperienze al Luigi XVI a Montecarlo ed al Plaza Athénée a Parigi
di Alain Ducasse, capitato nel mio ristorante per merito di un grande amico,
Vito Cinque, proprietario del S. Pietro a Positano, albergo culto del turismo
internazionale di eccellenza. In Francia ho imparato che nel mio mestiere
gestire il binomio “genio e sregolatezza” non funziona, che i risultati sono
figli di un ordine mentale, che preveda la creatività, ma che si traduca in
rigore e disciplina, tutto ben dosato come gli ingredienti di un grande piatto.
A qualcuno che recentemente mi ha chiesto quale gratificazione professionale mi
avesse dato l’emozione maggiore, ho risposto, e lo confermo che è stata
l’ammissione nel 1999 all’Associazione dei Giovani Ristoratori d’Europa, perché
il conforto e la condivisione di esperienza con coetanei fanno nascere la
sensazione forte di appartenenza ad un movimento, che esclude petizioni e
rivalità. Nel 2003 è arrivato il riconoscimento delle Tre Forchette del Gambero
Rosso, una prestigiosa classifica che visto al vertice fino ad oggi, ma è nel
2003 che riesco a realizzare una manifestazione nel mio paese diverse da tutte
le altre, un happening continuo di tre giorni, una Festa insomma, la Festa a Vico che richiama a
Vico Equense chefs affermati e giovani promesse, per cucinare tutti insieme
piatti per centinaia di ospiti che affollano la splendida cornice delle Axidie
a Marina i Seiano. Partimmo in 11 ed oggi siamo in 150. La seconda stella
Michelin del 2008 è storia recente. Se mi volto indietro vedo nel 1991 Gennaro,
Vittoria, Ciro, Luciano e Salvatore al lavoro a Via torretta, all’ombra di una
torre saracina del VII° secolo, e li vedo ancora oggi. Continua…
LA CUCINA - Sembrerà banale ma
“ricordare” è esattamente l’opposto di “dimenticare”. Non c’è bisogno di
cercare aggettivi da affiancare alla parola “memoria”; questa stessa parola
rischia di perdere significato, perché ricordare è un esercizio impegnativo, è
la riacquisizione di una conoscenza, anche se fosse la deformazione di una
realtà. Nel mio mestiere “dimenticare” è il peccato mortale della superbia, ma
anche il segno di un distacco dal passato e dal futuro. Così quando gusterete
in un mio piatto la polpa di un riccio di mare, la ricotta di una fuscella, la
pasta mista, la foglia di una zucchina, il baccello di un pisello, un piccolo
pesce di scoglio, il limone, la provola e perfino il riso o l’ostrica, che non
appartengono a questo territorio, voi mangerete Gennaro Esposito e le mani ed i
piccoli gesti ripetuti di centinaia, migliaia di persone e la terra, la
pioggia, il sole, il fieno, il muggito di una mucca, la luce di una lampara, la
sirena di una fabbrica. Ricordiamocelo, ricordatevene.”
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