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sabato 31 dicembre 2011

Barthes Roland (AA. VV.) a cura e con introduzione di Filippo La Porta, con scritti di Gianfranco Marrone, Matteo Marchesini, Caterina Selvaggi, Luca Doninelli, Jean-Marc Mandosio, Stefano Gallerani e Giogrio Patrizi (Gaffi Editore). Intervento di Nunzio Festa























Roland Barthes chi era costui? Riferimento per decine, anzi in certi casi flotte d'intellettuali, il francese Roland Barthes pare non ispiri come una volta. Ma l'opera del critico e semiotico e filosofo, almeno, interessa ancora al "critico militante" Filippo La Porta. Che in "Barhes, Roland" ci mette una densa e articolata introduzione, per dare il via a un'antologia che porta pensieri al pensiero estemporaneo. E per tornare sulle "mitologie del contemporaneo", La Porta ha chiesto parole di giovani penne del valore di Gallerani e Marchesini, d'esperti alla Mandosio e Marrone, e così via. Per fare una raccolta disomogenea ma che parla d'una certa omogeneità. Passeggiando, appunto, nelle preferenze degli studiosi e 'appassionati' (vedi Doninelli - Luca - ): per esempio: autore del breve intervento titolato "Madri": righe che mettono in parallelo il francese a Testori. Quindi se per il filosofo Marrone due Barthes non esistono, è proprio La Porta a spiegare, invece, quale dei due 'preferisce' - che per lui ne estino proprio due, diciamo. Senza entrare nei particolari degli scritti, però, possiamo già dire che questo libro va nella direzione recentemente e nuovamente auspicata da Berardinelli, cioé fa discutere su intellettuali che da decenni parevano essere stati messi fuori dall'interesse generale. E rivediamo, dunque, quel Barthes che diventò proprio il massimo rappresentante dello Strutturalismo. Ma lui, spiega sempre A. Berardinelli in un'interessantissima recensione al piccolo lavoro collettivo "né voleva essere un filosofo, neppure un filosofo esistenzialista. Era più sfuggente, aborriva e temeva i concetti nitidi, scriveva in una prosa dominata da un enigmatico, ossessivo istinto a sottrarsi, a retrocedere dalla chiarezza e distinzione delle idee preferendo gli indefiniti territori prelinguistici, l’esperienza incondizionata, non verbalizzata, allo stato puro, un’esperienza singolare eppure (eccola la novità) senza soggetto e fuori contesto". Il quale, naturalmente, sottolinea l'intuizione di Mandosio che, con questa riproposizione d'un saggio già pubblicato su rivista, spiega quanto il concetto che il semiotico raccontava della "lingua fascista" è un punto d'arrivo d'una lunga elaborazione e non un incidente da ripulire. Un'antologia che può far almeno discutere, per fortuna. Lo si faccia o non lo si faccia più sulle prime pagine.

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