Nelle grandi iconografie
tradizionali, riprese dai presepi natalizi, la scena è più o meno quella di un
bambinello, quasi sempre sorridente, non certo un neonato ma già con una
florida capigliatura e le braccine tese, l’espressione del viso a volte non
proprio infantile e sorridente ma piuttosto ieratica, adorato da una madre in
preghiera e da un uomo di età indefinita, inginocchiati e piegati su di lui;
sullo sfondo un bue e un asino, come sta scritto nei Vangeli.
La scena è edificante ma
immobile, astratta, irreale - o forse è la proiezione di una nostalgia
collettiva per l’innocenza che viene perduta pian piano nel tempo. Nella vita
non accade così e, soprattutto, in quella realtà, descritta dai Vangeli. Non
esiste che la puerpera Maria se ne stia tutta beata e serafica dopo i dolori
del parto: è una grande ingiustizia verso la sua corporeità, che è dolore –
come dicono i testi sacri – lavoro, fatica, fughe, strazio...
La poesia, intensa, di Benassi,
sconvolge questi schemi. L’elemento che sovverte quella scenografia
tradizionale, con prepotenza, è infatti la fisicità, con la nota insistente del
dolore fisico e psichico che, nell’iconografia tradizionale, è totalmente
assente. Entra in gioco, in questa sorta di poesia della storia, anche una nota
fortissima di de-mistificazione, di presa di distanza da una teologia tutta
assorta nei significati trascendentali, dimenticandosi spesso che proprio il
corpo è l’unico tramite col divino, tant’è che proprio nell’incarnazione si
realizza il principio di ogni teologia (in senso cristiano) e proprio nel parto
è il significato primo di ogni eucaristia, perché proprio Maria è la prima
sacerdotessa che porta e consacra dentro di sé l’Eucaristia.
Entra in scena anche l’elemento
della storia, non tanto come atti o fatti, ma come orizzonte o sce-nografia
entro la quale viene collocato il poemetto. È
la storia degli umili, dei semplici, degli ultimi, così che la natività
di Cristo, da avvenimento teologico-sacrale, diventa paradigma di ogni natività
povera e sconosciuta.
(dalla prefazione di G. Lucini)
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