Il romanzo di Sergio Anelli,
“L'assassino lento di Pasolini”, torna sulla vicenda che ha condizionato il
percorso intellettuale dell'intellualità italiana, che ha perso pezzi, dalla
morte del Poeta. Le immagini portate da Anelli sono dolorosamente composte di
sangue, il nettare amaro perduto per sempre da Pier Paolo Pasolini. Quando,
infatti, Anelli conduce i suoi personaggi all'Idroscalo tragicamente famoso, in
un miscuglio d'Ostia e baracche, accanto alla brutalità dei nuovi e vecchi
ragazzi di borgata che sostennero l'assassinio dello scrittore e saggista,
polemista irraggiungibile, fa male sentire le urla morenti dell'uomo. Dove la
commistione tra interessi occulti, ma poi per certi versi non più oramai tanto
occultati, e la manovalanza delle periferie d'una Roma che diveniva e che sta
diventando la Capitale
della “banda della Magliana”, produce l'omicidio che ha trasformato per sempre
la nazione Italia. L'ultimo romanzo di Sergio Anelli, quindi, dispiega, per
spiegare, nelle pagine e sul corpo d'una delle storie praticamente sepolte,
soggetti che sono il risultato della compravendita effettualmente puntualmente
dal sottotraccia del Potere italiota. Agenti veri e giornalisti finti.
Infiltrati certi e registi puri. L'assassinio lento di Pasolini è l'opera che
fa da trasfigurazione letteraria d'un preciso momento storico del Paese. Se il
fuoco del libro, di certo, può essere considerata la fine della vita di P.P.P.,
qui dobbiamo reagire alla nausea che ci fa l'accanimento alla falsità di tutto
il resto garantito dagli attori delle scene. Perché l'Italia, dice senza mezzi
termini il romanzo realtà dello scrittore Anelli, che già s'era occupato, per
dire, di Pisacane e di Rosselli, è in mano una contr'Italia che manovra
nell'ombra. E si gioca Pasolini nei comizi, vedi Almirante, e negli accordi
privati, si ricordi in questo caso l'azione delle logge massoniche condite da
servizi segreti più che deviati. Il risultato di quel processo è sotto gli
occhi della popolazione. Dipartito il popolo. Embleticamente la storia ultima
di Pasolini dobbiamo leggerla appunto quale simbolo della stravolgimento delle
classi intellettuali, soprattutto, che da allora e ancora s'arrangeranno fino a
farsi ingaggiare dai vari detentori della forza. Facendo da corollario agli
oppressori. Ecco dunque che lo sguardo di Fiorella e lo sguardo di Gilles e le
loro vicende sentiranno e subiranno il cambiamento. L'opera di Sergio Anelli ci
serve oggi. Perché non dobbiamo dimenticari proprio mai quel che siamo e cosa
pure siam stati. Il Moro che giudicò Pelosi, in questo, somiglia benissimo a
tanti giudicanti degli anni in corso. Anelli, con coraggio e fludità
espressiva, lo scrive e lo fa leggere.
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