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martedì 11 ottobre 2011

Il libro del giorno: FINO ALLA FINE DEL GIORNO DI OSVALDO PILIEGO (LUPO EDITORE)





















Il pub di Settimio è l’approdo di generazioni perdute, il punto d’incontro di storie confinanti, di solitudini che annaspano nell’illusione di risolversi in cerca di una free way destinata a rivelarsi una diàspora. Le radici si sgretolano insieme alla sassosa terra salentina, incapaci di trattenere valori e tradizioni nell’incalzare disordinato di tempi nuovi e non certo migliori. Luca, Francesca, Dora, zio Franco, Emanuele… dalle storie della famiglia Peschici e dalla costellazione dei personaggi che incrociano le vicende di Danilo emerge un quadro di gente a volte ignara di tradire se stessa, totalmente partecipe delle inquietudini e delle corruzioni che segnano l’oggi in modo globale, immersa in un disorientamento a mala pena illuminato da barlumi di autocoscienza e dai legami affettivi che hanno nutrito l’infanzia. Dal coraggioso e coinvolgente romanzo di Osvaldo Piliego esce il Salento oscuro, nascosto a chi insiste a rifugiarsi in una pizzica mitizzata come emblema di purezza primigenia; è la denuncia di una penna “giovane” che, pur intrisa di nostalgia, rifiuta le panoramiche da cartolina per guardare ad occhi aperti la realtà e interrogarsi sui rischi che essa comporta.


“SARANNO ORMAI DIECI ANNI. DOPO CHE IL MURO di Berlino è venuto giù la libertà ha scoperchiato la povertà. L’indipendenza, il crollo del comunismo fanno paura e la gente comincia a scappare. Solo nel 1991 ne sono arrivati 40.000. Albanesi, aggrappati a una speranza e a un barcone. Miracoli galleggianti, rosso ruggine che solca l’Adriatico e arriva come il vento fin dentro le nostre case. Lo vediamo in televisione ma basta affacciarsi alla finestra e lo spettacolo è lì. E noi siamo i protagonisti, forse per una volta siamo migliori, meno disperati. La tramontana oggi ti spezza in due, niente buone nuove per la cervicale. Arriva la puzza della discarica a cielo aperto di Cavallino, un monumento al meridione che non funziona, la nostra babele dello schifo. Franco Peschici è di volante come non lo era da anni ormai, quella scrivania alla fine gli piaceva. Prima era tutto azione e principi, poi la condizione impiegatizia gli ha dato sicurezza cullando la beata pigrizia che dopo i cinquanta monta come la marea. Carenza di personale, ferie, turni, cose dei giovani che ai tempi suoi neanche si pensavano. Prima sapevi quando montavi ma non sapevi mai quando finivi. Quando aveva vent’anni e tornava a casa dopo il turno, quasi si dimenticava di togliere il berretto dell’uniforme, tanto si era abituato. Mo’ ha pure le pantofole sotto la scrivania, ché la circolazione viaggia intasata. Troppi mocassini, ha detto il dottore scherzando, e lui ripensava a quando l’orgoglio dell’Arma, la gioventù, gli facevano sopportare tutto. A tutte le notti da piantone, a sorvegliare il nulla a Otranto, alle simulazioni di guerra. Tutta fatica sprecata, pensava e ripensava tutte le mattine, ed è per questo che aveva deciso di riposarsi, ormai, prima della pensione..”.

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