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venerdì 21 ottobre 2011

Artificial Paradise, di Gianpaolo Borghini (LaRecherche.it) – un estratto



















“Lo choc è stato forte. La sera, nella luce spietata dei neon, l’ufficio di Corrado sembra più spoglio di quello che è. La luce lattiginosa appiattisce i rilievi, deforma l’umore, annulla le ombre. Lui sbatte nervosamente le dita sulla tastiera del computer. Muove isterico il mouse. Vorrebbe far quadrare dei conti che nessuna logica può far tornare: le poche voci in entrata contro le infinite in uscita. Lo schermo LCD è ogni istante più minaccioso: bocca di un forno a fuoco vivo che carbonizza speranze. Una rabbia sorda gli crea un tic nervoso a una gamba. I numeri sono sempre più piccoli: formiche rabbiose, spietati predatori. Le cifre escono dal monitor e lo colpiscono sugli occhi, sulle aree del cervello adibite ai calcoli, sfiniscono l’illusione. E poi i volontari da coordinare: sempre pochi e troppo sprovveduti e le telefonate problematiche per due ricoveri di vagabondi, le cui esistenze sono finite lo stesso pomeriggio. È disumano fondare e gestire due case per il recupero dei barboni se non sei Madre Teresa di Calcutta e nel suo Dio nemmeno riesci a crederci. Anche se vivi in una città moderna con la metropolitana, due aeroporti, ospedali, SUV in doppia fila e anziani custoditi in case di riposo asettiche e non in quella realtà meno che povera dove lei aveva scelto di compiere la sua missione. Ma avere una missione, o avere l’impressione di averla, sconvolge le esistenze e può cambiare tutto quanto ci circonda.”

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