Il nuovo libro d'inchiesta del
giornalista Filippo Astone, “Senza padrini”, fosse stato scritto in maniera
meno tecnica, certamente l'avremmo persino consigliato quale libro di testo per
le scuole; ma non usando una formula trita e ritrita, bensì per sottolineare
che questo sforzo titanico di dipingere i caproni - ovvero i mafiosi siciliani
- con le loro stesse grasse malefatte serve perfettamente l'imposizione e
impostazione etica di lavorare contro l'Illegalità: cioè raccontando il bene e
il male delle mafie, e per spingere giovani e meno giovani, come suol dire, a
vivere con lo schifo dell'Illegalità mafiosa. E, soprattutto, spiegando questa
necessità raccontando 'persino' che, tipo per l'impreditore sicialiano
qualsiasi, eppure anche non necessariamente siciliano, in quest'Italia comunque
maltrattata dal malcostume generalizzato, “Resistere alla mafia fa guadagnare”.
Pure. Cosa, ovviamente e giustamente, ripresa non a caso in sottotitolo al
saggio. Il nuovo libro d'Astone, giornalista dalla penna acunimata quanto
puntigliosa, soprattutto saggista privo di scrupoli e che mai scende a
compromessi, lungi dall'osannare i comportamenti naturali e oggi tipici di
Confindustria, comunque considerata in fondo ferma su se stessa e realmente non
disposta sempre a tentare strade per rilanciare l'economia complessiva
italiana, prende idealmente e in maniera franca le mosse dalla scelta iniziata
con un atto quasi eretico di Confindustria Sicilia. Quando la componente sicula
di Confindustria, insomma, decise di sanzionare i propri iscritti che finivano
per cedere alle lusinghe della mafia oppure che solamente crollavano di fronte
alle richieste di silenzio della mafia – quelle post richiesta estorsiva. Ivan
Lo Bello e Antonello Montante, per i loro atti di disobbedienza, non
casualmente furono raggiunti da proiettili intimidatori che si dovevano
spartire con il procuratore generale di Caltanissetta, Sergio Lari e il procuratore
capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. Perché proprio chi spezza l'asse
borghesia mafiosa – corruzione fa un danno molto rilevante alle mafie. “Specie
se, come hanno fatto Lo Bello e Montante, riesce a dimostrare che è possibile
operare senza le mafie. Anzi, che liberarsi dal crimine organizzato, oltre che
giusto, conviene. E che ormai chi paga il pizzo non lo fa perché costretto, ma
perché ritiene che la collusione sia vantaggiosa”. Dunque Astone, dopo aver
narrato, illuminandoci e usando la dovizia di particolari cara sempre ai grandi
giornalisti, dei pochi padroni che tengono in mano l'Italia e dei metodi che
usano per moltiplicarsi e rigenerarsi, racconta un'altra verità del percorso
adesso di Confindustria. Quello che dovrebbe diventare esempio per un vero
cammino verso il distacco dalle mafie e soprattutto contro la sottocultura
mafiosa. Infine, e non lo si dimentichi, nell'ultima parte del testo, Filippo
Astone spiega altre “storie di economia mafiosa”: “Olga Acanfora, la camorra
per scontare le fatture”, “Ivano Perego, 'ndranghetista lumbard” ecc. Perché
come ormai sappiamo non esiste solamente “cosa nostra” e non esiste solamente la Sicilia. Ma dalla
Trinacria, questa volta, nasce un fiore che dovrebbe divenire il fiore d'una
nuova primavera dell'onestà. E, come dice Camilleri, rivedere la Storia, con la “S”
maiuscola appunto.
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