Il fantasma del narratore, ovvero il narratore fantasma di “Il nome giusto” percorre e ripercorre il pieno traboccante di dolori lievi e passioni elevate che hanno significato la sua pre-morte; perché Sergio Garufi col suo primo romanzo, ma non dimentichiamo il racconto pubblicato per Senzapatria e i vari scritti 'occasionali', fa rivedere le storie e le vicende, tornando persino alla formazione completa del protagonista delle avventure, che per mezzo dei libri di crescita hanno condizionato e strutturato le manie e le volontà del praticamente fresco-morto; perché, appunto, è il fantasma di un quarantasettenne che non fa in tempo a compiere il nuovo compleanno a dirci la storia intera. Da una specie d'ottica alternativa ai mondi extra-terreni, allora, il fantasma tanto per iniziare spia la sua ex biblioteca divenuta patrimonio dell'amico che vende libri usati. I capitoli nei quali la trama è fatta sviluppare a balzi temporali precisi e accattivanti, all'indice infatti sono spiegati da titoli di libri che hanno condizionato l'esistenza dell'attuale mezzo/esistente, mentre nel corpo del narrare questi sono come espunti: a significare, ci pare di capire, che il romanzo è un flusso vitale puntellato da testi letterari più che simbolici mentre “alla fine” va ottenuto un risarcimento da chi legge e da chi legge e lo fa scandendo i sospiri della crescita di luoghi e ambienti stretti. Giustamente, diversi, come d'altronde chi scrive, dall'inizio della lettura notano la somiglianza con Vasta. Ma, a questo proposito, e marcando di nuovo che siamo in un congegno a orologeria, diamo la differenza tra l'altro indicato dalla stesso autore. Ovvero che in Il nome giusto abbiamo un mosaico moderno emblema della frammentazione e mancanza d'un'identità definita delle cose. Un po' come Nicole, che oltre a non avere il nome giusto per il futuro fantasma, cambia nome proprio a seconda delle esigenze. Il romanzo di Garufi, fatto da una lingua che appassiona, da una scrittura che cresce pagina dopo pagina e propone persino spunti indimenticabili in alcune pagine, non ci propina solamente avventure avventurose e molto più che avvincenti, quanto più un'altra chiave di lettura di certi contesti sociali e una gamma colorante di citazioni che consegnano immaginazioni dell'anima e il senso d'un animo che segue un tracciato di riflessioni da compiere e infine ri-avanzare. Come un memoir. Molto più di tanti tentativi di memorie morte. Il quasi barocco, quindi non alla Giorgio Vasta, di Sergio Garufi porta eventi nell'essere madre, nell'essere padre, nell'esser figlio. E nelle ricadute a questi stati vitali.
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