Ci troviamo davanti ad un libro la cui singolarità non può essere colta alla fine delle sue centosettanta pagine. Non si può nel caso specifico parlare di un’autobiografia, ma di tracciato biografico di un lavoro, di un impegno intellettuale e di ricerca che appartiene ad uno dei più grandi etnologi della storia contemporanea. Parliamo di Marc Augé e del suo “Straniero a me stesso” edito da Bollati Boringhieri. E’ inutile spiegare l’utilità di un etnologo, come ruolo e funzione all’interno di una complessità semantica e sistemica di simboli e significati quale è la nostra era. L’etnologo si sa è un medium che trasmuta in cognizioni di senso comprensibili grammatiche tra diverse culture. In parole semplici permette a un americano e un giapponese di “comprendersi” a più livelli e in più maniere. Gli studi di Augé hanno approfondito geografie umane che toccano l’America Latina e l’Africa. Le pagine di questo volume, che consiglio caldamente, sono evanescenti presenze che riaffiorano dalla memoria, che disegnano immagini, transizioni, paesaggi perduti, che comunque vanno a costituire e costruire un mosaico sempre più nitido di concetti come LUOGO, RADICI, PRESENZE. Termini che stanno a significare, relazioni e ricerche identitarie, che spesso si disintegrano in dimensioni utopiche come la rete, dove non si parla di appartenenza, e contesti dal momento che sono non-luoghi dove regna l’indistinto e una feroce neutralità. Il libro si presenta con una scrittura asciutta che si lascia leggere con estremo piacere e che regala con la sua prosa densa momenti intensi e stimolanti.
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