Da tempo, ormai, dobbiamo applaudire a ogni uscita delle collana di Laterza “Contromano”; infatti, per l'ennesima volta, e per il romanzo di Tommaso Pincio “L'hotel a zero stelle” possiamo e dobbiamo confermare che Contromano non prende una buca. "Ho immaginato il mio albergo ideale. Un hotel a zero stelle – inventa l'inafferrabile (lo diciamo in tono positivo, chiaramente) Pincio - i cui ospiti tipo dovrebbero essere i vagabondi dell'anima, coloro che ancora gironzolano alla ricerca di sé, senza troppa arte né parte. In questo albergo non poco scalcinato si può stare fin quando si desidera, perlomeno fintanto che non si è diventati ciò che si è”. E in questo luogo, che è tutto l'opposto d'un non-luogo: “Si può persino bussare alla stanze degli altri ospiti, i quali, essendo vagabondi dell'anima anch'essi, saranno più che felici di accogliervi e scandagliare in vostra compagnia il senso dell'esistere e tutte le questioni a questo senso legate, che sono poi la chiave per orientarsi nel mondo all'esterno, spesso assai meno inospitale del vostro albergo”. Se dunque inizialmente lo scrittore conduce il lettore, accuratamente, fuori strada, ovvero fa immaginare a chi legge che ci sarà una specie d'elenco, al quale dannatamente si troverà di fronte e lo sarà in maniera impotente, degli alberghi che l'autore ha avuto quale tana temporanea, con il seguito, sin dall'inizio dobbiamo però aggiungere, Pincio introduce l'elemento decisivo: si tratta del classico viaggio dell'anima: insomma Tommaso Pincio parla di quello che gli piace e degli scrittori e degli artisti più in generale che desidera re-incontrare. Fra Parise e Pasolini. Tra Kerouac e Burroughs. Ma con in mezzo, tra gli altri, Dick e Simenon. Per citare gli autori più interessanti. Se pur tutti, in qualche modo, sono interessanti. Ma grazie all'Hotel a zero stelle, quindi, il soggetto più soggetto del romanzo da pittore che era diventa pittore e scrittore. Mangiano e bevendo, dentro le stanze dell'albergo diffuso nella selva d'anime, le penne che mostrano la via. Senza tralasciare che la formazione del romanzo di formazione, usiamo 'sti termini sapendo di far tanto danno, si fortifica con musiche e gettoni che alimentano certa musica. Il romanzo che abbiamo sotto le dita, in pratica, si spoglia della narrazione per essere più della narrazione e decisamente più del saggio, genere al quale senza dubbio l'opera assomiglia parecchio. Qui allora si fa avanti l'infanzia di Pincio. E' stato detto, per il libro, che la letteratura deve dare conforto. Affermazione profondamente sbagliata. Perché, d'altronde, quest'opera di Tommaso Pincio dice che gli sconforti di molti scrittori e il materiale sconfortante della vita del Pianeta non possono che farci diventare sconfortati e alla ricerca di luoghi ideali utili a confortare il mondo al futuro.
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