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lunedì 25 luglio 2011

La Città del Sole di Tommaso Campanella (Liber Liber on Ebookyou)












La città del Sole è un'opera filosofica del frate domenicano calabrese Tommaso Campanella, del 1602. La prima edizione fu redatta in volgare fiorentino, adottando lo stile dialogico proprio della tradizione esoterica platonica: il testo fu poi più volte tradotto in lingua latina, fino ad arrivare alla celebre edizione del 1623 di Francoforte, intitolata Civitas Solis idea republicae philosophica. Come si vede ne La città del Sole ogni singolo aspetto della vita è rigidamente regolato, un dato che l’opera di Campanella condivide con quasi tutti gli scritti concernenti società utopiche: un'eccessiva insistenza sull’ordine e la disciplina che quasi annienta le libertà individuali (basti pensare, ne La città del Sole, all’atto della generazione: non solo gli accoppiamenti sono decisi dai funzionari, persino le ore degli incontri sono determinate). Una volontà di controllare tutti gli aspetti della vita umana che agli occhi moderni può far apparire le varie isole utopiche ben poco attraenti. L’opera del filosofo domenicano è una preziosa testimonianza della sua passione e delle sue speranze di fronte ad una realtà presente dal carattere tragico. È un’opera che registra alla perfezione le ambizioni delle menti più pronte d’Europa nel diciassettesimo secolo, di fronte al declino irreversibile del sistema feudale (cancellato dai nuovi processi economici che stavano per dare origine al capitalismo); di fronte alle nuove scoperte geografiche; di fronte alla fine dell’unità spirituale dovuta alla Riforma protestante; di fronte al progresso scientifico delle teorie di Copernico, di Galilei, di Bruno. Campanella sarà inoltre contestato duramente da Ugo Grozio, secondo il quale i diritti dell’uomo sono tali per natura e perciò sono inalienabili; tesi lontana da quella del domenicano, che immaginava la negazione della proprietà e insisteva sulla limitazione delle libertà personali.

Tommaso Campanella nacque a Stilo, come egli stesso più volte afferma nei suoi scritti e come dichiarò il 23 novembre 1599 nel carcere di Castel Nuovo a Napoli, al giudice Antonio Peri: «son di una terra chiamata Stilo in Calabria ultra, mio padre si domanda Geronimo Campanella e mia madre Caterina Basile». Fino al 1806 si conservava anche l’atto di battesimo nella parrocchia di San Biagio, borgo di Stilo, così redatto: «A dì 12 settembre 1568, battezzato Giovan Domenico Campanella figlio di Geronimo e Catarinella Martello, nato il giorno 5, da me D. Terentio Romano, parroco di S. Biaggio nel Borgo». Il padre era un ciabattino povero e analfabeta che non poteva permettersi di mandare i figli a scuola e Giovan Domenico ascoltava dalla finestra le lezioni del maestro del paese, segno precoce di quella volontà di conoscenza che non l’abbandonò per tutta la vita. Nel 1581 la famiglia si trasferì nella vicina Stignano e nella primavera del 1582 il padre pensò di mandare il figlio presso un fratello, a Napoli, perché vi studiasse diritto, ma il giovane Campanella, per il desiderio di seguire corsi regolari di studi e abbandonare un destino di miseria, più che per una reale vocazione religiose, decise di entrare nell'Ordine domenicano. Novizio nel convento della vicina Placanica, vi fece i primi studi e pronunciò i voti a quindici anni nel convento di San Giorgio Morgeto, assumendo il nome di Tommaso, continuando gli studi superiori a Nicastro dal 1585 al 1587 e poi, a vent’anni, a Cosenza, dove affrontò lo studio della teologia. L'istruzione ricevuta dai domenicani non lo soddisfa e non gli è sufficiente: «essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato, esaminai tutti i commentatori d'Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le cose ch'essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano rispondere alle miei obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso l'originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di falso». Fu in particolare il De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio una rivelazione e una liberazione insieme: scoprì che non esisteva soltanto la filosofia scolastica e che la natura poteva essere osservata per quello che è, e poteva e doveva essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall’uomo, con i sensi e con la ragione, prima osservando e poi ragionando, senza schemi precostituiti e senza mandare a memoria quanto altri credevano di aver già scoperto e di conoscere su di essa. Era il 1588 e Telesio, che da anni viveva a Cosenza, vi moriva ottantenne proprio in quei giorni. Il neofita frate entusiasta non poté sottrarsi a deporre sulla bara, nel duomo, versi latini di ringraziamento devoto.

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