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giovedì 2 giugno 2011

NON HO PIU’ OCCHI SE NON PER ASCOLTARE di Rossella Pompeo













Nel 1844 nacqui principessa Sayyida Salomé di Zanzibar e dell’Oman.

La donna che mi diede alla luce era una Circassa

divenne proprietà di mio padre all’età di sette anni.

Mio padre ebbe settantacinque mogli, trentasei furono i miei fratelli e le mie sorelle.

Ambra e muschio e profumo di rosa servirono a fumigare le fasce in cui sarei restata avvolta per i miei primi quaranta giorni di vita;

il mio corpo sarebbe così cresciuto senza imperfezioni.

Al settimo giorno con un ago e un filo di seta rossa

mi venne praticato un foro sul lobo dell’orecchio

fino a che, all’età di due mesi, sei fori non lo bucarono e

altrettanti orecchini ne restarono appesi per sempre.

Al quarantesimo giorno la mia testa venne fumigata con gomma arabica,

il vostro incenso cattolico e così fu resa pronta al rito:

il capo degli eunuchi rasò del tutto i miei capelli

dei quali i primi furono seppelliti nel terreno o sparsi in mare o nascosti in qualche insenatura nel muro, questo lo ignoro.

Solo allora il mio corpo ritrovava la sua libertà dal bendaggio

e alle mie braccia e ai miei piedi venivano fatti indossare bracciali, al capo un cappello dorato e agli orecchi un para orecchi.

Amuleti chiamati Hamaje o Hafid mi vennero appesi al collo contro la sfortuna,

erano cartigli d’oro o d’argento con iscrizioni del Corano;

per le classi più povere erano invece

cipolla o spicchi d’aglio, piccole conchiglie o un pezzo d’osso

cucito nel cuoio che veniva appeso nella parte alta del braccio sinistro.

All’età di dodici anni mio padre morì

le sue vedove restarono chiuse in una stanza buia

piangendolo per quattro mesi finché il Kadi

non diede inizio alla cerimonia di fine lutto:

le settantacinque vedove dovevano lavarsi dalla testa ai piedi

tutte insieme nel mare ché un’unica vasca non sarebbe bastata

mentre due schiave dietro di loro

sfregavano l’una contro l’altra una spada sopra la loro testa.

Uno dei miei fratelli di nome Bargash divenne sultano di Zanzibar

un giorno frustò fino a causarne la morte la sua Circassa.

La colpa: rispondere al saluto di un Portoghese.

Le si era inginocchiato di fronte come era consuetudine

da parte degli ufficiali Inglesi e Francesi.

Bargash ne implorò il perdono sul letto di morte e fu visto spesso pregare sulla sua tomba.

Seppi dopo che questo mio fratello

risultò amato in Europa per aver abolito la schiavitù.

Crebbi e mi innamorai di un europeo:

Aden, Amburgo, Dresda, Berlino, Londra, le città dove vissi,

mi battezzai e diventai Emily Ruete:

figlia di una Circassa, fui Mussulmana e poi Cristiana

nei miei ricordi da adulta mi aggiravo sul mio asino bianco

nella mia isola delle spezie, Zanzibar.

Una nave senza più timone e in balia del mare divenni.

Non ho più occhi se non per ascoltare.

Poesia scritta da Rossella Pompeo in memoria di Emily Ruete, autrice della prima autobiografia di una donna Araba: “Memoirs of an Arabian Princess from Zanzibar”, prima edizione apparsa in Germania nel 1886.

Image by Alex Beck


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