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venerdì 10 giugno 2011

Blue Note Records di Richard Cook (Minimum Fax)












Da più di settant’anni la casa discografica Blue Note Records è sinonimo di musica di altissimo livello. Punto di riferimento imprescindibile nel mondo del jazz, si è sempre distinta per essere un vero e proprio laboratorio di idee, basato su un interscambio fecondo e paritario tra il produttore e gli artisti. L’elenco dei musicisti che hanno inciso per l'etichetta newyorkese è, di fatto, il Who’s who della storia del jazz: dai pionieri Thelonious Monk, Bud Powell, Art Blakey, Horace Silver, fino ai contemporanei John Scofield, Wynton Marsalis, Dianne Reeves, Joe Lovano e Norah Jones. La «biografia» della Blue Note viene ricostruita per la prima volta in questo volume ormai classico, pubblicato originariamente nel 2001 e finalmente disponibile anche in italiano. Con lo stile asciutto e il rigore documentario che lo hanno consacrato tra i massimi esperti mondiali di musica jazz, Richard Cook ripercorre tutte le fasi di vita dell’etichetta, dalla fondazione nel 1939, al fallimento sul finire degli anni Sessanta, fino alla rinascita negli anni Ottanta. Guidando il lettore tra le session e gli album più celebri, raccontando i retroscena dei rapporti tra la Blue Note e i suoi artisti (ma non trascurando di soffermarsi anche su «curiosità» come le tecniche di registrazione di Rudy Van Gelder o la cover art di Reid Miles), le pagine di Cook ci fanno rivivere l’atmosfera e lo spirito dell’etichetta che per molti, da sempre, rappresenta «the finest in jazz since 1939».

“Sul finire degli anni Trenta, il jazz era una musica ricca e potente. L’industria discografica, a quel tempo una pivellina nel mondo del commercio statunitense, era diventata florida mano a mano che l’intrattenimento americano cominciava a dominare il tempo libero in tutto il mondo occidentale. Se il cinema di Hollywood era la prima voce d’esportazione degli Stati Uniti, subito dopo veniva il jazz, rappresentato nel paese da un numero immenso di orchestre da ballo. Anche l’Europa poteva vantarne moltissime, comunque ispirate quasi tutte alle grandi orchestre americane: quelle di Duke Ellington, Benny Goodman, Tommy Dorsey, Count Basie. Questi personaggi, oggi icone del jazz, a quell’epoca erano solo direttori di orchestre che suonavano principalmente per far ballare la gente. Quello fu il decennio d’oro, l’unico breve momento nella sua complicata storia in cui il jazz dominò il campo della musica popolare.”

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