Nell’anno del Signore 1364, stritolata dal terribile morbo della Peste Nera, l’intera Europa appare come una landa desolata: una terra senza speranza in cui, simili agli spettri, si aggirano i corpi scheletrici di chi è sopravvissuto alla catastrofe. In questo regno di fame e paura, dove il prossimo non è altro che un nemico da tenere a bada con la forza delle armi, il terrore è tenuto vivo da storie che parlano di streghe e demoni, creature malvagie sempre pronte a gettarsi sui vivi per consegnare nuove anime al mondo dei dannati. Hegel e Manfried Grossbart, però, non temono nessuna maledizione. E, convinti di godere della protezione della Vergine Maria a cui sono devoti, sbarcano il lunario svaligiando cimiteri. Guai a chi, per troppo coraggio o semplice ignavia, dovesse incrociare la strada dei due ladri di tombe, Fedeli a un solo desiderio – raggiungere l’Egitto per depredare le necropoli dei faraoni - Manfried ed Hegel, oltre che ladri, sono anche assassini senza scrupoli. I protagonisti di un viaggio che, in un romanzo in bilico tra il folklore dei fratelli Grimm e la vena dissacrante di Quentin Tarantino, saprà parlare di fattucchiere passionali e di morti viventi, di crociate e di eresie, di mostri assetati di sangue e di preti reietti. Un medioevo spaventoso ma vivo, in grado di trascinare il lettore in una storia dove i colpi di scena rappresentano la regola e i lati oscuri delle antiche leggende escono dai libri per impossessarsi della realtà.
“Definire i fratelli Grossbart briganti crudeli ed egoisti screditerebbe persino il ladrone più abietto, e dire che erano dei porci assassini offenderebbe anche il più lurido dei cinghiali. Erano Grossbart fin nelle midolla, e in molte regioni il nome ha ancora oggi un triste significato. Pur non essendo ripugnanti quanto il padre o scaltri come il nonno, uomini orribili entrambi, i fratelli si dimostrarono anche peggiori. Il sangue può guastarsi in una generazione sola o stillare nei secoli qualcosa di veramente malvagio, com’è appunto il caso di quei due abominevoli gemelli, Hegel e Manfried. Erano tutti e due di media statura ma scheletrici di costituzione. Manfried possedeva enormi orecchie sproporzionate, e in confronto al naso di Hegel, parecchie rape sarebbero parse banali per dimensioni e bitorzoli. I capelli rossicci e le sopracciglia cespugliose di Hegel contrastavano con l’argento arruffato della zucca del fratello, ed entrambi avevano visi butterati e scarni. Avevano appena venticinque primavere ma portavano una barba di tale lunghezza che anche da vicino li si prendeva spesso per vecchi. Chi tra i due l’avesse più lunga, poi, era frequente motivo d’alterco. Prima di essere arrestato e impiccato in un sinistro villaggio nel profondo nord, il padre aveva tramandato l’attività di famiglia, ammesso che razziare tombe possa essere considerata un’occupazione lucrosa. Assai prima della morte del nonno, il nome Grossbart era già sinonimo di furfanteria della più losca specie, ma fu solo quando i cimiteri si evolverono in qualcosa di più di semplici fosse comuni che la famiglia trovò la sua autentica vocazione.”
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