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martedì 10 maggio 2011

Augusto, braccio violento della storia di Luca Canali (Bompiani)












Il primo imperatore romano, forse il più grande: Ottaviano Augusto. La difficile ma inarrestabile scalata al potere, gli intrighi, i retroscena psicologici, i personaggi: Agrippa, l’amico fidato, uomo forte e imperturbabile, votato al servizio gregario e all’ordine senza forse e senza ma. E poi Livia Drusilla, di cui Ottaviano si innamora, e ne fa la sua sposa e ispiratrice. E ancora, le trame segrete dei conservatori capeggiati da Cicerone, Catone, e Bruto, la guerra sanguinosa contro gli uccisori di Cesare, da cui emergerà la figura dell’uomo di potere unico, il princeps per antonomasia. Uomo malaticcio ma sospinto da irrefrenabili pulsioni, adottato da Cesare che lo vedeva come il solo condottiero in grado di risolvere il dissidio che opponeva il Senato al princeps. Repressione di congiure, diplomazia con il ceto nobiliare, stretto legame quasi affettivo con le legioni, un saldo secolo di pace, detta appunto pax augusta, che ha quasi per fondamento ideologico la cultura e la poesia, di cui Mecenate è ispiratore, sono i fondamenti del nuovo impero. Molti tormenti anche nella sua vita: più grave di tutti il comportamento libertino di sua figlia Giulia e sua nipote Giulia Minore. Luca Canali ricostruisce col sicuro e avvincente passo del romanziere e con il rigore dello storico un capitolo epico della storia romana, fra tolleranza e dispotismo, poesia e sangue, amore e morte. La vicenda di un uomo il cui braccio violento, anche attraverso la crudeltà delle proscrizioni, ha impugnato ogni arma disponibile per saldare per sempre il destino di Roma a quello dell’Occidente.

LUCA CANALI, scrittore e latinista, ha insegnato Letteratura latina nelle Università di Roma e Pisa. Dal 1981 si è dedicato esclusivamente all’attività critica e letteraria. Tra le opere di saggistica: Personalità e stile di Cesare, I volti di Eros, Lucrezio, poeta della ragione, Amore e sessualità negli autori latini, Il sangue dei Gracchi, I cavalieri latini dell’Apocalisse, Fermare Attila; di versi: Toccata e fuga, La deriva, Il naufragio, Zapping, Borderline, Fasi, Lampi; di narrativa: La resistenza impura, Autobiografia di un baro, Il sorriso di Giulia, Spezzare l’assedio, Nei pleniluni sereni, Reds. Racconti comunisti, La sporca guerra, Fuori dalla grazia. Tra le sue traduzioni, tutta l’opera di Virgilio, Lucrezio, Petronio, Orazio, Tibullo, Properzio, Persio, Stazio, Prudenzio e altri.

Un estratto - “Ehi Agrippa, dormi? È quasi l’alba, fra poco sbarchiamo”. Seduto su un cerchio di corde, la testa fra i pugni, i gomiti puntati sulle ginocchia, e gli occhi semichiusi, Agrippa non dormiva. Anzi, a quel richiamo di Ottaviano, suo compagno di studi e di vita, sorrise scoprendo, fra labbra bruciate dal vento e dal sole di chi ha vissuto a lungo all’aria aperta, denti corti e saldi che cercavano invano di risplendere al chiaro di luna di quella notte del 15 aprile 44 a.C. Un mese esatto dall’assassinio di Cesare all’ingresso della Curia di Pompeo. Senza attendere risposta, né volgersi verso l’amico, Ottaviano iniziò a percorrere il perimetro della bireme che dalla città di Apollonia li stava trasportando in Italia. Camminava lentamente, sembrava interessarsi alla battagliola, sopraelevazione dei parapetti formata da gomene intrecciate a paletti biforcuti, dai quali pendevano gli scudi che i legionari di scorta avevano lasciati lì ritirandosi la sera prima a dormire sottocoperta, a pochi passi dalla ciurma dei rematori. La frequenza delle vogate doveva essere lenta e regolare, ma i remi oggi pesavano di più, fasciati da stracci di lana affinché la snella imbarcazione procedesse nel più assoluto silenzio: portava infatti il figlio adottivo di Cesare verso la vendetta contro gli autori di uno dei delitti politici più efferati dell’intera storia di Roma. In cambio di quella velocità e di quel silenzio, i due giovanotti s’erano sporti da una botola sulla sentina – dimora, prigione e cesso di quei disperati – per gettar loro sacchetti di denaro, non certo per pietà – avrebbero fatto crocifiggere chi avesse finto una forte vogata per coprire il proprio debole sforzo –, ma per spronare tutti a non diminuire la velocità e a non interrompere il silenzio. Del resto i rematori arrancavano pensando solo a quante puttane, dopo lo sbarco, avrebbero potuto godersi con quei denari per un’intera giornata.”

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