In mezzo allo sconfinato nulla dell’Oklahoma, nella contea di Coyote Crossing, gli abitanti dormono sonni tranquilli, o almeno così credeva il giovane aiuto sceriffo Toby Sawyer, prima di quella notte. I Jordan sono piombati in città, assetati di vendetta per l'omicidio del fratello Luke, ma il cadavere è scomparso e tutti sembrano avere troppe cose da nascondere per raccontare la verità. Toby deve ritrovare il corpo prima dell'alba, e scoprirà ben presto di non essere il solo a cercarlo: tre killer chicanos gli distruggono il trailer a raffiche di mitra, e lui fa appena in tempo a fuggire con il figlio in braccio, sotto una pioggia di proiettili. Nello spazio di una notte, senza potersi fidare di nessuno, uomo o donna, amico o collega, il giovane Toby diventerà uomo, scoperchiando segreti pericolosi che lo costringeranno a combattere contro il cuore marcio di un'intera città e a scontrarsi con i Jordan in un’ultima sfida che profuma di O.K. Corral.
Una frenetica corsa contro il tempo tra esplosioni, incendi e inseguimenti mortali. Victor Gischler, adorato non a caso da Joe R. Lansdale e Don Winslow, ancora una volta sfodera humour, velocità e colpi di scena in un noir mozzafiato dal sapore western.
Victor Gischler vive a Baton Rouge, in Louisiana.
È autore di sette romanzi tradotti in dodici lingue, è stato a lungo professore di Scrittura creativa presso la Rogers State University, in Oklahoma, ed è sceneggiatore Marvel per fumetti come The Punisher, Wolverine, Deadpool e la nuova serie degli X–Men che ha venduto solo nella prima settimana più di 100.000 copie.
Il suo romanzo “La gabbia delle scimmie”, che è stato nominato come miglior esordio agli Edgar Award, sta per diventare un film a Hollywood.
“Finsi un colpo di tosse e mi portai la mano alla bocca per nascondere il sorriso. Che non ci fosse niente da ridere era ovvio, ma l’espressione stupita in faccia al cadavere di Luke Jordan mi aveva colto di sorpresa. Mai visto un morto così da vicino, prima, al di fuori di una camera ardente. Il Capo della polizia, Frank Krueger, fece un lungo e rumoroso sospiro e si grattò la pancia, scostando il cappello di paglia per asciugarsi il sudore con un fazzoletto rosso. Abbassò lo sguardo sul corpo di Luke, che sporgeva dal vecchio pick-up, e si mise a contare puntando il tozzo indice in direzione del cadavere. — Nove fori di proiettile, per me, — disse alla fine. — Ti torna? Figurarsi se perdevo tempo a contare, io. — Come no. — Mi toccai la stella di latta che portavo appesa alla T-shirt dei Weezer, sentendomi veramente uno stupido tra le scarpe da basket slacciate e i pantaloni della tuta. Quando la telefonata del Capo ti scaraventa giù dal letto a mezzanotte, afferri la prima cosa che capita e fili via come una scheggia. Con una mano mi reggevo dietro la schiena la fondina con tanto di revolver. Avevo provato ad agganciarla ai pantaloni della tuta ma, da quanto era pesante, continuava a tirarmeli giù fino a metà delle chiappe. Così non mi misi a contare i fori di proiettile, ma fissai Luke: i suoi occhi sbarrati e stupefatti, il sangue grumoso che iniziava a rapprendersi sulla camicia a quadri. Luke era uno di quei rednecks di bell’aspetto e dall’aria un po’ ruvida, sempre in jeans stinti e T-shirt senza maniche. Stivali da cowboy in finta pelle – ma lui probabilmente aveva raccontato a tutti che erano di serpente a sonagli.”
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