E se la colpa fosse di romanzi come questi? Non si fa che discutere di famiglia. Poiché riconosciuta come l’origine di tutto, primo responsabile e utilizzatore finale, falò di vacui adolescenti e nostalgia di emigranti pentiti, poiché è lì che si forma la prima morula identitaria, per tutte queste ragioni e molte altre la famiglia vive anni emergenziali. Ci appare come una realtà ormai implosa, schiacciata da enormi pressioni emotive, psichiche ed economiche, e non ne restano che ceneri da analizzare al microscopio. E se la colpa fosse di romanzi come l’ultimo di Margareth Mazzantini “Nessuno si salva da solo” appena pubblicato da Mondadori? Del resto non sarebbe neppure l’unico. Si pensi a Jonathan Franzen, tornato in libreria con il suo americanissimo Freedom, tradotto da Einaudi. Il tema è sempre quello: la coppia e la famiglia, intesa l’una come la naturale evoluzione dell’altra. La coppia dell’ultima Mazzantini, in particolare, è stanca, dura, crudele. Intrappolata in se stessa e poi incenerita, tanto che la sua narrazione sembra un’orazione funebre. La Mazzantini questa volta, infatti, ci svela il lato oscuro e funereo della vita coniugale, quello che ci riguarda più da vicino, ma lo fa con una rabbia davvero imprevista. La storia scelta è quella di una coppia sui 40 anni, Delia e Gaetano che, dopo la prevedibile separazione, si ritrova una sera a cena a discutere di soldi e a recriminare. Come tanti, come tutti. Tra una portata e l’altra s’accendono tra i due frammenti di vita vissuta, brillano cocci di passione e delusione. È il vaso di pandora di una decina d’anni di convivenza che s’apre e ne viene fuori l’ira di Dio. Le fila di questa tragedia narrate in scaglie sono tirate da due direttori d’orchestra d’eccezione: i due figli di pochi anni. Sono loro gli unici osservatori: esterni e muti. Sono loro che, per il semplice fatto di esistere, consentono ai coniugi di prendere coscienza dello sfibrarsi reciproco delle proprie identità. Ricordando i loro figli, vedendoli, annusandoli, i due coniugi comprendono di essere rimasti disperatamente soli e che essere soli non basta. “Nessuno si salva da solo” infatti, ed è verissimo. Il ritmo di questa dolorosa scoperta è incalzante, dettato anche dal costante confrontarsi della coppia protagonista con quella di anziani coniugi che le cenano accanto. La Mazzantini sa raccontare magistralmente il desiderio. è rapida, efficace, cinematografica. Ma dove c’è un desiderio tanto tagliente e irrealizzato, non può non esserci la rabbia. Su questo l’autrice però forse eccede questa volta: cerca l’effetto a tutti i costi, schiaffeggia il lettore con un lessico furente e scabroso, mette in scena con artificio e violenza, finendo per perdere di credibilità. I denti corrosi di Delia, ad esempio, ruvidi, aguzzi, privi di smalto, sono metafora perfetta di un desiderio puro, corrotto dalla vita. La donna passa a ripassa con la lingua su questi denti per accettare il suo destino, ma il gesto a volte si fa verboso, claustrofobico, lasciando il lettore sdentato, incapace di riconoscere in ciò che legge qualcosa della sua fatica quotidiana, ma voglioso (non è detto che sia un male) di dichiararsi sopravvissuto, illeso, scampato, come se, leggendo, si fosse trovato davanti ad uno degli ultimi e più foschi casi di cronaca nera.
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