In sostanza, siamo, con “Giosuè Rizzi. Giudizio e pregiudizio”, ‘ovviamente’, nella biografia d’un bandito d’altri tempi. Siamo, in sostanza, oltre la biografia raccolta con meticolosa Solidarietà da Angelo Cavallo. Veramente nel corpo del pregiudizio. Oltre che, è più che chiaro, del giudizio. E’ questo, diciamo, c’interessa maggiormente. Rizzi è in libertà solamente dal novembre dell’ultimissimo 2010; dopo che, da detenuto e qualche volta da fuggitivo, è stato per anni delinquente comune. Insomma forse non proprio il “Papa di Foggia” come un pentito di camorra volle definire l’uomo. Ma, anche se così fosse stato e quindi tanto potente fosse diventato, non possiamo che leggere la vita di Rizzi Giosuè per intero. Ovvero da quando decide, lui che è classe ’52, di cominciare a essere un fuorilegge. Però partiamo da un altro punto. Che, per quanto sia finanche giusto, l’editore punta su questo libro, su questo volume tutto umano cominciando e sottolineando aspetti d’un rapporto a distanza e vicinanza con il “caso Vallanzasca”. E, lasciatecelo dire, il confronto non è sostenibile. E non per differenza di potere o poteri. Invece questo faccia a faccia fra Cavallo e Rizzi, che la struttura mantiene il racconto d’Angelo Cavallo a riportare vicende cronachistiche in luce e testimonianze dirette di Giosuè Rizzi sulla propria esistenza e sulle sue tante attività, intanto ci spiega il carcere. La vita nel carcere. La vita del carcere. Le vite che sono il carcere. E quanto questo luogo, soprattutto a quanti tanto devono scontare molti anni, incide sulle caratteristiche personali dei detenuti stessi. Per non parlare, infine, del personale di servizio lavorativo negli assilli di queste strutture che sempre dovrebbero reintegrare nella società chi ha commesso qualcosa che non sia ottemperato dalle leggi dello Stato. Per di più, e ripartiamo dal pregiudizio, Rizzi fra le altre cose fu condannato per la “strage del Bacardi” dell’86 nella ancora bollente Foggia. Quanto alla storia, Rizzi si dice e s’è detto innocente per questa. Eppure la cronaca non ci racconta il grido dell’innocenza – almeno intima – quanto piuttosto ci propone di studiare il solito concetto del capro espiatorio. Rizzi e Cavallo, sentiamo adesso i contenuti, non vogliono spingere su una presunta buona anima di Giosué. Infatti si racconta dei furti cominciati in tenerissima età fino agli accoltellamenti vari per amicizia e per onnipotenza nelle varie e diverse carceri italiane (fino alle crisi dei manicomi criminali). Proprio in ragione d’una giusta considerazione d’un personaggio che similmente ad altri ha plasmato, persino a tratti involontariamente, l’immaginario collettivo. Attirando giudizio e pregiudizio. In prima battuta: pregiudizio. Senza scordarci che, è le cose non sono assolutamente cambiate, le carceri italiote sono il purgatorio più l’inferno dello Stato e dell’Antistato. Che lo stato deve punire, molte volte ricorrendo a trattamenti disumani, mentre l’antistato deve cercare quantomeno di sopravvivere. Ma alla fine Giosuè Rizzi comunque è riuscito a riprendersi la sua vita. Dopo tanti patimenti e tante cattive azioni ha voluto riconsegnarsi nelle mani d’una sua vecchia passione. Per sconfiggere pregiudizio e giudizio. Senza aver più debiti con una società che essenzialmente non perdona.
Giosuè Rizzi. Giudizio e pregiudizio, di Giosuè Rizzi e Angelo Cavallo, illustrazioni di Emiliano Properzi, Perdisa Pop (Bologna, 2011), pag. 184, euro 15.00.
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