Di Melissa P. non ho letto solo “In nome dell’amore”. Per il resto posso dire che padroneggio l’argomento, tanto che ho seguito il viaggio di questa ex adolescente catanese fino ai confini delle terre dell’eros nei suoi recenti reportage italiani sul sesso, sulle pagine del “Corriere della Sera Magazine”, ora “Sette”. Tirando un po’ le somme possiamo dire che ha scandalizzato (se così si può dire anche se sarebbe meglio dire che di lei si è parlato molto in giro) con “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire” nel 2003 per i tipi di Fazi. Un po’ di brezza scritturale chiara e suadente poi spirava in “L’odore del tuo respiro” sempre per Fazi nel 2005: "Ho disegnato, ma non ero capace di colorare senza sbavare lungo i bordi. Ho comprato una chitarra, ma avevo paura che le corde mi tagliassero le dita. Ho scritto e qualcosa dentro di me si è mosso. Ho scritto, ho scritto, ho scritto tanto, e poi sono diventata famosa. E quella cosa che avevo liberato è ritornata indietro e mi ha invasa. Uccidendomi." Ora Melissa P. esce per i tipi di Einaudi , con “Tre”, con la consueta predisposizione alla triangolazione amorosa e alla verticalizzazione sessuale, che vede come protagonisti Larissa (poetessa decadente), Gunther (mirabolante allevatore di pappagalli) e George (nomade fotografo dalle grandi doti) . Tra noia e paranoia, ovvero tra pulsioni sessuali di “young adult” che sperimentano la dimensione letteraria psico/narcotica e pseudo/artistica della loro creatività e complicità in una Roma ( c’è anche una toccata e fuga a Buenos Aires) che fa da spettatrice a questa “mattanza” di giovani vite, tuttavia il lavoro si presenta con un interessante epilogo che forse già da metà libro può essere intuito dal lettore. «Nessuno pensò alla parola amore, nessuno ebbe l'impressione che si trattasse di un'avventura erotica di breve vita. Si stavano rigenerando, idratando gli angoli secchi, levigando le escoriazioni». La scrittura, rispetto alle precedenti prove convince, il bilanciamento e l’intersecarsi delle storie e le azioni e le vite dei protagonisti, rivelano che Melissa P. finalmente ha trovato la sua strada. Ma, c’è un ma! Ovvero quello che a mio modesto parere non può considerarsi vincente, è quella lieve patina di sospetto che mi fa dire: “ Melissa P., è davvero cresciuta? Siamo di nuovo a una finzione di finzione di finzione che mescola il prodotto editoriale confezionato a dovere con una pre/preparazione attoriale dello scrittore al ruolo, da "esporre" oppure c’è in tutto questo discorso una vera e propria tenuta di stile? Melissa P. , è altro da Isabella Santacroce!
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