Rossana Campo conosce le donne e le donne conoscono Rossana Campo. In tante hanno compiuto le prime esperienze e acceso le prime emozioni leggendo questa scrittrice genovese, ora divisa tra Roma e Parigi. La Campo, infatti, con “Lezioni di arabo” edito da Feltrinelli, è oggi al suo decimo romanzo, ma la sua fabbrica di personaggi è ancora in piena attività. A pensarci bene esistono due tipi di narratori. Quelli che costruiscono storie, intese come intreccio, concatenarsi logico di eventi, e quelli che costruiscono persone, modi di essere, intere popolazioni e mondi di riferimento. La Campo rientra nella seconda categoria: plasma i suoi personaggi, lasciandoli muovere liberamente all’interno di un universo artificiale del tutto autosufficiente, minuziosamente ricostruito in ogni suo dettaglio e dal suono sorprendentemente familiare e vivo. Chi sono questi personaggi solitamente? Uomini e donne, vivacissimi ma marginali, antieroi, vinti, sfigati, stralunate sagome cariche di umanità e stupore. La lingua utilizzata per raccontarli da sempre mira ad elidere la distanza tra lo scritto e il parlato. È’ quella rumorosa e cromaticamente varia del quotidiano. Riuscitissima sia dal punto di vista lessicale, che fonico. Parigi, luogo e personaggio anche essa, è molto spesso parte di questo mondo frizzante. Probabilmente perché la più multietnica delle città europee, di certo perché tra le più magiche. Nel suo ultimo lavoro, la protagonista è Betti che, divorziata da sette mesi, fa la cameriera nella capitale francese e lavora in una rosticceria araba. Lì conosce Suleiman, giovane algerino, malinconico e depresso, e da lui cerca di apprendere nuova lingua e nuovi costumi, per confrontarli ai suoi. E da quelli magari rinascere. In realtà è Betti la donna dalla quale apprendere. La sua formazione si è già compiuta, in un passato che compare a tratti nella narrazione. Un passato violento e cupo, che l’ha rapidamente avvicinata ai misteri del sesso e resa incredibilmente permeabile alle variabili più crude della vita. Nonostante Betty sia un personaggio corrotto, infatti, la sua innocenza è più forte di tutto. La sua curiosità viaggia su luoghi e persone, sfiora e trasforma quasi magicamente. Come una novella Amèlie - quella de Il favoloso mondo di Amélie, film di qualche anno fa, splendidamente scritto e diretto da Jenuet ed interpretato da Audrey Tautou -, Betty riesce a vivere la sua magra esistenza, restandone una spanna sopra, trasformandosi così in una surreale icona dell’essere donna oggi. Tutto ciò che le è intorno, vivo e pulsante – sesso, amore, dolore e grammatica – diventa per lei strumento di conoscenza. In qualche maniera sarà, dunque, lei ad insegnare a vivere all’attonito Suleiman. A suo modo. E del resto il gioco dell’apprendimento, la fatica del reciproco conoscersi, dell’adattarsi all’altro, oggi dovrebbe essere sentito da tutti come bisogno crescente e primario. Nel romanzo Suleiman lamenta proprio questo: dopo l’11 settembre il vaso di Pandora sembra essersi aperto e aver rovesciato sugli uomini tutti mali del mondo arabo. Solo i mali però, in un’immagine statica oltre che sintetica, frutto di una estrema e comoda pigrizia. “La verità è che l’alfabeto arabo ha migliaia, milioni di lettere” urla Suleiman in una delle sue lezioni, un infinito numero di variabili che lo rendono molto più complesso di quello che si vuole credere. Bisognerebbe, dunque, rinascere da qui, provare a considerare queste variabili, pesarne la diversità, analizzarne il molteplice liberi da ogni condizionamento, per capire davvero: questo è l’invito che il mondo della Campo sembra voler fare al lettore
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