Devastazione in forma di racconto. “Bella pugnalata”, dell'esordiente Alessandra Saugo, è un romanzo spezzato, fatto a pezzi, sono pezzi, spezzettati, fatti a romanzo, esaltati. Senza retorica. Compreso il linguaggio necessariamente retorico. Una devastazione in forma di racconto lungo, è “Bella pugnalata”; che rompe gli schemi per stare in uno schema di narrazione che non ha assolutamente schemi. Racconto stesso a parte. Trame 'sentimentali' a parte. Il sesso, anche in questo libro, è importante. La sua trattazione arriva in sentire serio, in quanto è sorretto da un femminismo tutt'altro che di facciata. Sentito. Vissuto. E quindi fattoci rivivere. Per quello che è possibile. Sostenibili. Prendibile, pure. La lettura di questo romanzo, da consiglio di Antonio Moresco, che assolutamente non ha sbagliato, ha permesso di arrivare a una serie di conclusioni. Al di là della vicinanza col più datato “La merca” della Daino, questo romanzo ci fa – per la prima volta – guardare davvero in faccia a quello che una certa tradizione familistica-matriarcale vuole per la donna, alla femmina. Per arrivare, giustamente, a un nuovo flagello superbo dove si rivede posizionato il corpo sulla pagina. Il testo è diviso in due pezzi portanti: “brodo” e “romanzetto rosa”. A loro volta suddivisi in più paragrafi. Nel “brodo”, davvero passato al passatutto delle proprietà vegetali dei vegetali reali, le nonne morte (quelle appunto del matriarcato) indicano una direzione da seguire e non seguire. Con l'aggiunta dell'irruenza d'una non partecipazione alla vivida stanza festiva comune, annunciata costantemente dalla lingua che la Saugo sublima in ogni riga del suo prorompente scrivere. Una affezione ai vocaboli per niente stucchevole. Anzi propositrice di soluzioni straordinariamente originali. E' questo è uno dei risultati del linguaggio, per dire. Ma l'amore di questo “brodo”, poi, entra nel minestrone, rosato, d'una seconda parte, per la verità meno importante e, forse, significativa, incentrata prevalentemente su un incontro. Quest'esordio, soprattutto, torna a far pensare all'essere al non essere, starci e non starci, in alcuni luoghi – la provincia su tutto. E in più situazioni. Il romanticismo che fortifica alcuni lineamenti del romanzo, infine, fatto come ha detto lo stesso Moresco, di più elementi apparentemente contrastanti fra loro, aggiunge quel sale malato che è la consistenza intemperante di certi giorni nostri. Il lirismo verso il quale va in cerca in certi punti l'autrice, è il punto finale e iniziale.
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