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giovedì 29 aprile 2010

La versione di Barney di Mordecai Richler (Adelphi). Intervento di Vito Antonio Conte



















Finalmente, dopo averne sentito parlare da pochi buoni (di là delle recensioni e del clamore mediatico che c'è stato), ho conosciuto da vicino Mordecai Richler, traverso il suo libro (ormai cult) “La versione di Barney” (Adelphi Edizioni, Collana “Gli Adelphi”, pagine 484, € 12,00), che mi ha regalato momenti di solitarie incontenibili risate e tristezze sino al pianto. Mordecai Riclher nasce nel 1931 a Montreal (nel ghetto ebraico di Rue Saint Urbain -che ispirò molti dei suoi libri, tra cui quello noto come “St. Urbain Street”) e, dopo una vita fatta di lavoretti part-time, i primi studi, l'abbandono dell'ortodossia e della fede religiosa in generale, un primo viaggio in Europa (visse -prima- in Francia e -poi- in Spagna), il ritorno in Canada, un altro viaggio in Europa (Londra), il matrimonio e tre figli, il ritorno definitivo (nel 1972) in Canada, dove visse fino a settantanni. Autore di numerosi romanzi, scrisse anche libri per bambini, sceneggiature (lavorando per il cinema e la televisione) e fu prolifico giornalista, lavorando anche in radio. “La versione di Barney” è stato un successo mondiale. In Italia (nel 2001) è divenuto un caso letterario (con più di 100.000 copie vendute). Nell'estate dello scorso anno, a Roma, c'è stato il via alle riprese della trasposizione cinematografica del romanzo (regia di Richard J. Lewis, protagonista Paul Giamatti, con Dustin Hoffman nei panni del padre di Barney). Il romanzo è esilarante e struggente insieme, strutturato in tre parti: una per ciascuna delle tre mogli di Barney Panofsky. La prima, la pittrice Clara Charnofsky, suicidatasi a Parigi, dopo una vita costantemente borderline. La seconda signora Panofsky è una donna di agiatissima condizione sociale che Barney sposa senza un esatto perché e che, il giorno stesso delle nozze, comprende essere stato un errore, tant'è che alla cerimonia di nozze s'innamora di quella che sarà il suo vero grande amore, Miriam, dalla quale avrà tre figli (Michael, Saul e Kate). Queste brevi note sulla vita di Mordecai Richler e sul personaggio Barney Panofsky (tra le tante rinvenibili) sembrano immagini speculari, tant'è che molti hanno visto in Panofsky l'alter ego dell'Autore. Vi è che il romanzo è autobiografico, pur con i limiti precisati dallo stesso Autore in un'intervista rilasciata nel 2000 a Federica Velonà di Radio Tre. Ma se è vero che Mordecai non è stato sposato tre volte, suo padre non era un poliziotto e non è stato accusato di omicidio, come accade a Panofsky, è altrettanto vero (per stessa ammissione dell'Autore) che l'identificazione tra Barney e Richler è quasi violenta tant'è forte. Barney è, come lo definisce la sua terza moglie, un “collezionista di rancori”, che fuma troppi sigari Montecristo e vuota troppe bottiglie di Macallan, prendendosi gioco di tutto e di tutti con il cinismo tipico del ricco arrivato (senza essere snob...), che non risparmia giudizi su nessuno, condendo le parole di quell'umorismo nero che rendono quei giudizi politicamente scorretti, sì da rendersi antipatico ai più. Nella narrazione, infatti, emergono progressivamente tutti i difetti di Barney (ruvido, sadico, cinico, vile, opportunista...), ma -in maniera altrettanto potente- vien fuori tutta l'umanità del protagonista del libro (severo con se stesso non meno che con gli altri, con lo sguardo scevro da condizionamenti verso la vita e la morte, capace di grande amore e umile nel riconoscere e ammettere i propri fallimenti...), che ne fanno un personaggio costantemente in bilico tra un terribile burlone che non esita a schernire i sentimenti altrui e una gran bella persona capace di giocare e mettere in gioco i suoi stessi sentimenti. Il tutto con un linguaggio che definire -come ho detto- esilarante è riduttivo. Un linguaggio fatto di pause, di reiterazioni, di citazioni, di richiami e di rimandi continui, a caratterizzare l'importanza della memoria e la sua perdita. Panofsky, infatti, è malato di Alzheimer e questa invenzione dell'Autore in un personaggio molto colto (com'è Barney) s'addice pienamente a quella ch'è la nota predominante dello stile di Richler, ossia il progressivo abbandono dell'organizzazione cronologica della trama del romanzo con infinite digressioni, che mai appesantiscono la storia. Ciò che dà modo all'Autore di spaziare temporalmente attraverso la storia principale con grande libertà inserendo nella narrazione (con dei flashback apparentemente disordinati) una miriade di personaggi e le loro storie. “La versione di Barney”, così, è narrazione delle vicende di Panofsky (fisicamente provato dagli acciacchi della vecchiaia, senza l'unica donna che ha amato -e continua a amare- follemente, consumatore incallito di sigari e whisky) e di quelle dei personaggi che -comunque- con lui hanno interagito e interagiscono (in una giostra di ricordi d'un vissuto straordinariamente ricco d'eventi), ma anche racconto di altre storie parallele. Come dev'essere una vita vera, degna di tal nome. Razionale, folle e romantica.

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