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mercoledì 28 aprile 2010

Assalto a un tempo devastato e vile. Versione 3.0, di Giuseppe Genna (Minimum Fax ). Intervento di Nunzio Festa

















Non sono sicuramente tra quelli che corrono appena sentono d’una nuova uscita di Wu Ming, ma ho molto apprezzato “Assalto a un tempo devastato e vile”. Dicevamo prima di Wu Ming, in quanto, e solamente per ciò che so, alla fine per un pizzico d’affinità vera e cruda esiste davvero tra Wu Ming e Giuseppe Genna. Ma lasciamo stare. Per ripartire, più utilmente, dalla nuova edizione (o versione, se piace maggiormente all’autore) del corposo – nonostante la mole non eccessiva per un volume di ‘genere’ – impianto – struttura – motivo di fondo del “genere” che abbiamo davanti agli occhi ugualmente rovinati dal tempo che rovina. Lo scrittore milanese avvisa in una nota, tanto per cominciare, e approfittiamo dell’angolo da noi creato per dire che ha scelto decisamente bene scegliendo d’entrare come autore in Minimum Fax, che “la presente costituisce la terza edizione presso un terzo editore, in un arco di otto anni (ma a un decennio dal momento in cui fu sottoposto al giudizio di varie case editrici), di ‘Assalto a un tempo devastato e vile’: al tempo stesso, il mio libro d’esordio e il mio libro finale. Il primo nucleo, pubblicato presso peQuod nel 2001, è stato terminato nel 1999, e si conclude con l’explicit dopo il testo ‘Ciò che resta’. La seconda edizione, presso Mondadori nel 2002, ha portato all’aggiunta del testo ‘Questo è il martirio del Santo Me’. Ora, a distanza di dieci anni dalla prima stesura, in forza delle mutazioni personali e di scrittura, è stata aggiunta una ulteriore costellazione di testi, la quale non comparirebbe tale senza il decisivo consiglio di Christian Raimo (editor aggiornatissimo sempre e sempre attentissimo, ndr), a cui sono inimmaginabilmente grato. Ritengo importante precisare che il libro, nella forma attuale, si autocostituisce come non definitivo”. Da una premessa e da tratti di spiegazione del tipo ascoltato, non ci si sarebbe potuto che aspettare almeno buona parte della successiva lettura. Innanzitutto, occorre specificare, il libro distorce i canoni del romanzo solamente perché si serve per diverse pozioni di testo di forme diverse: dal racconto al reportage finanche al saggio. Non a caso, già anni or sono il libro fu definito “l’opera cult di Giuseppe Genna” e che “fece gridare alla nascita di una voce potente e originale delle letteratura italiana”. Attualmente, precisiamo noi, e per me fortunatamente, in un certo senso, invece il lavoro non incontra (almeno per adesso) le sirene della critica. Buon segnale, forse. Incoraggiante: potrebbe essere. In contemporanea, addirittura alcune e alcuni provano a dare stroncature di diversa costituzione. Ad avviso di chi scrive, tanto per cominciare, la pesantezza d’alcuni momenti – però molto significativi – è il giusto e sacrosanto pegno, da lettore, che si deve pagare se veramente si vuole leggere d’infiltrazioni nella società che a loro volta sono capaci d’infiltrarsi nella nostra fasulla tranquillità. Non è, cosa che ci pare ovvia, per rispondere d’altronde al lancio di copertina se ci permettiamo di ribadire come, vedi per Milano, Genna riesca a spulciare pagine amare della metropoli consumata dalla morte lenta per veleni. A emblema, ma sempre aiutati da altri segni, di tanti altri e a volte simili spazi urbani e inumani. L’opera presenta tanti punti sui quali per correttezza ci si dovrebbe soffermare. Prima per riflettere. E poi per invitare a riflettere su noi italioti che siamo in transito a favore di Libero e del Giornale, di Repubblica e della Lega e di Caltagirone e di Fini e di Casini. Nella constatazione, a forza di presenza concreta, dei beni e dei desideri dei potenti. Però ricordiamo, almeno, gli originali titoli dei paragrafi: Assalto a un tempo devastato e vile, Radiazioni dall’epoca del trauma, Zona padre, Noi supereremo le soglie di qualunque universo sia senziente. Per analizzare, per dovere di data, magari, un brano: “Gadal scarica e carica con Francesco. Francesco ha tre figli, una moglie, il mutuo da un milione al mese per la casa, le rate di trecentomila lire per la macchina. La macchina gli serve: ci dorme dentro. Smonta alle tre di mattina, dorme quattro ore in macchina, poi va in un’officina. Alle otto è di nuovo nel padiglione. Il venerdì notte prende la macchina e va a Gallarate, dove sta la famiglia. Lunedì ricomincia”. Anzi, un altro: “Ricordo il primo premier ex comunista della storia d’Italia, che fece il ’68 essendo allievo alla Normale di Pisa nella foto bianconera con il dolcevita sotto la giacca e chi sa quale gelido sogno, e dice il sì alla guerra di là dell’Adriatico e giustifica il sì con sillogismi che innalzano onde anomale di vergogna umana e di sangue altrettanto umano”. Un libro pazzesco di tempi pazzeschi. Per certi argomenti persino anticipatore d’analisi, o portatore di ‘profezie’ si diceva una volta. Lo stile di Genna viaggia tra la descrizione assoluta e perfettamente fedele incastonata in situazioni paratattiche o strappi, di contro e addirittura, che spingono sulla scia del teatro evocativo. Un linguaggio, quindi, parola su parola destinato all’evocazione. Con mezzo di stilettate tondeggianti. Dove, infine, l’impegno di scrittura è tutto frutto della causa civile dell’opera. Titolo più giusto, dunque, non si sarebbe potuto trovare. Il retroterra di Giuseppe Genna si sposa con un mutamento dei tempi che sconquassano la gestione delle vite di tutte e tutti.

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