
La vicenda umana di E. M. – come sottolinea il dottor Trabucco nell’articolo ‘Creatività, gioco e cambiamento’, apparso in Florilegio, ed. Nicomp L.E. – fu segnata da una costante presenza della morte. Edvard, infatti, secondo di cinque figli, perse madre, sorella maggiore, poi un’altra sorella, padre e fratello nel corso di una quindicina d’anni, tra il 1885 e il 1899, quando lui aveva tra i 22 e i 36 anni d’età. Ma dire che queste vicende abbiano in lui ancora di più alimentato un’incredibile capacità d’introspezione psicologica sembra riduttivo; come anche affermare che riuscisse a dare forma pittorica alla sua angoscia privata, studiandone la profonda causa ed elevandola a condizione umana, potrebbe sembrare scontato. Potremmo usare per M. la definizione che ne dette August Strindberg nel 1896 quale «pittore esoterico dell’amore, della gelosia, della morte e della tristezza», ma, se ricordiamo le parole di M. stesso: «i miei quadri sono i miei diari», forse riusciremo a cogliere quel suo sentimento così necessario, legato alla volontà di dipingere «gente viva, che respira, sente, soffre e ama, perché la carne prenda forma..». L’urlo è il terrore senza nome, inteso in psicologia come situazione dello sviluppo primario del bambino per cui la paura di morire non viene accolta dalla mente della madre – che appunto dovrebbe nominarla e definirla, quindi delimitarla -, ma ritorna come tale al bambino che la sperimenta come dissoluzione di ogni cosa. «Sono vissuto con i morti..», con la morte che urla, che sconquassa, che, con le sue onde sonore, deforma la natura e quel corpo che disperato cerca di tapparsi le orecchie per non sentire, per non sentire più quel che già conosce. Ecco, allora, la sua ossessiva meditazione sulla morte e sulla follia, la misoginia e l’amore-odio per le donne: fu ricoverato più di una volta in sanatorio e poi in una clinica per malattie nervose nel 1908 a causa di una grave malattia dalla quale non si riprese più completamente.
«L’elaborazione del lutto tuttavia non toglie la perdita, scrive Trabucco: se nella realtà la vita può riprendere il suo corso, nel profondo dell’anima i vuoti restano, anche se la riparazione – che ha luogo nel pensiero, nell’arte - può addirittura creare qualcosa in più rispetto al reale - perché il soggetto crea un oggetto nuovo, anzi, addirittura crea la propria creatività…»: a volte in essa riparazione ci si perde.«Esiste una continuità tra l’esperienza della separazione e quella della separatezza. Le separazioni, traumatiche come quelle di M., vengono quasi a rievocare un sottostante livello di separatezza dell’individuo, che ritrova al fondo del proprio essere una mancanza costitutiva, che è solitudine e che è esperienza universale legata all’atto della nascita, della cesura e che si riconnette alla morte». Questo stato della mente, che è precipuo dello stato psicotico, è comunque un’esperienza che tutti gli uomini sono destinati a fare, e forse proprio questo lo porterà a dire nel 1920 di volersi ritirare dal mondo perché: «Un uccello da preda si è fissato dentro di me. I suoi arti sono penetrati nel mio cuore, il suo becco ha trafitto il mio petto e il suo battito d’ali ha offuscato il mio cervello».
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