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domenica 16 dicembre 2007

Quel qualcosa in più










Il mio nome è Ertrit Omeri. Dieci anni di carcere a partire dal 1980 in Albania, per avere tentato di sfuggire a fame e miseria. Poi il salto nel buio! Dieci i milioni che ho pagato per arrivare in Italia, dieci le cicatrici sul mio corpo, due dovute allo sbarco, otto come omaggio dei miei traghettatori. A Durazzo aspettano ancora mie notizie. Nereida, avrebbe preferito morire di fame piuttosto che sapermi lontano da casa. La dignità era un lusso che non potevamo di certo permetterci. Non più! Da circa due settimane, mi trovo in un centro di permanenza temporanea a Otranto. Tra me e la vita ci sono tre transenne, due cancelli, un muro di dieci metri, la postazione della Guardia di Finanza e… il vuoto. Oddio… non avrei di che lamentarmi! La mattina faccio regolarmente colazione con del caffè e delle piccole brioches, due pasti caldi, a pranzo e a cena. Coperte, lenzuola, federe dei cuscini, te le fanno cambiare ogni 48 ore. I servizi igienici sono una meraviglia! Non è però questo che mi spaventa. No! È quel baratro che mi separa dal rifarmi una vita, avere dei soldi per comprare una macchina, un telefonino, per regalare un po’ di gioia a Nereida… povera donna! Era bellissima quando l’ho conosciuta. Aveva compiuto da poco diciott’anni. Io ne avevo quindici di più, diploma professionale in tasca e un lavoro come tornitore in una piccola impresa artigiana! Per quel che ho potuto non le ho fatto mancare nulla. Quello che non si riusciva ad avere dalle nostre parti, era una patria, uno Stato, delle politiche salariali, professionali, per dare insomma un briciolo di speranza a quelli che si spaccavano la schiena dalla mattina alla sera, almeno per poter sopravvivere con qualche spicciolo al mese. Se avessi tentato di resistere a tutto questo, mi sarebbe toccato stringere la cinghia così forte da venirne alla fine soffocato. Alla fine presi una decisione. Un primo tentativo di fuga. Riuscirono a beccarmi subito. Preso di peso, portato in commissariato, e pestato a sangue. Da noi, quando sei nelle mani degli sbirri, in tasca ti puoi ritrovare di tutto, senza nemmeno accorgertene. Tirarono fuori una bustina di coca. Come volevasi dimostrare. Ce l’avevano infilata loro. Non possedevo un centesimo bucato per corrompere i miei carcerieri. È così che funziona, mi ripetevo! È così che funziona! Le bollette del telefono, della luce e del gas che ti arrivano a casa possono diventare anche carta straccia… a patto che tu conosca qualcuno, che sia amico o parente di, e che abbia soprattutto un bel gruzzoletto da mettere a disposizione per toglierti dalla merda! Mi rendo conto di essere stato un’eccezione alla regola… Quando dissi a Nereida, durante una delle sue visite in carcere, che non appena fossi uscito da quel posto, sarei andato a tentar fortuna in Italia, s’incupì… all’improvviso. Di botto! Per due giorni non venne più a colloquio. Devono essere stati due giorni d’inferno per lei. Ritornò da me che sembrava invecchiata di almeno vent’anni. Mi disse soltanto “Ti amo Ertrit… va bene anche così! Ti aspetterò, e quando ritornerai, io verrò via con te… e non accetto ma…”

Avevo scontato tutto ciò che c’era da scontare. Ero un uomo libero, finalmente, e l’indomani sarei uscito. Mi aspettava una nuova vita. Ma a che prezzo… Sapevo solo una cosa: Nereida era con me, nella buona e nella cattiva sorte, finchè morte … e il resto lo porto tutti i giorni con me da quando ci siamo sposati. Al tasso del 70%, mi feci prestare dieci milioni pur di andarmene. Non appena fossi stato in grado di lavorare, ogni mese avrei dovuto restituirne circa il 18%. Partimmo alle 23,00 di una meravigliosa notte di settembre. La luna che si stagliava alta nel cielo, aveva il viso di mia moglie. Sarei riuscito a regalarle un giorno, un pezzo di paradiso! Nel cuore avevo un cielo in tempesta. Ora sono qui. Gioco a scacchi con il mio compagno di stanza Gelal, e a volte con lui parliamo del comunismo in Albania negli anni ’80. Si stava meglio quando si stava peggio? Mi importa soltanto strappare dalle braccia della solitudine, la mia donna, che per ogni istante lontana da me ha versato una lacrima di sangue sul suo cuore. Non mi resta che aspettare il permesso di soggiorno. Guardo un po’ di Tv. I Quiz Show di Mike Bongiorno, o quelli di Iva Zanicchi. Su di me hanno l’effetto di un buon sonnifero! Immagino di partecipare a uno di questi giochi, e vincere milioni e milioni, così da poter pagare tutti i debiti, e ritornare in patria a fare il pascià! Ma soprattutto quello che mi interessa più della stessa vita, è avere la speranza di riabbracciare lei. Qui, ogni giorno faccio la stessa vita. Stesse persone che si aggirano come fantasmi per quei pochi metri quadrati, in silenzio, pensando a quando ritorneranno con qualcosa in più tra le mani, dai loro cari. In silenzio fanno la fila allo spaccio per delle sigarette, in silenzio bevono i loro caffè, in silenzio aspettano qualcosa che gli dia un po’ di speranza in più, una lettera, un pacco, una telefonata. In silenzio… perché il vuoto che senti dentro, ti fa sentire freddo, tanto da volerti prendere un po’ più cura di te. Gelal dice che il popolo albanese n’è uscito sempre a testa alta, e che i suoi progenitori erano forti guerrieri. Io non ho più voglia di niente. Non ti danno da leggere nemmeno un giornale. D’accordo, pensano che tu non sappia l’italiano, ma il cervello ha bisogno di distrarsi, non possono recidere completamente il tuo cordone ombelicale con il mondo. Io, per parte mia, non ho più voglia di niente. Vorrei solo scapparmene, fuggire da questo manicomio… voglio solo il permesso di soggiorno, datemi questo cazzo di permesso di soggiorno e la faccio finita. Me ne sto subito buono buonino! Poi mi trovo un lavoro, e faccio venire la mia Nereida… mi manchi tanto…

Non ce la faccio più…

Non ce la faccio più…

Ertrit Omeri si è suicidato, impiccandosi, nella notte tra il 13 e il 14 novembre 2001, in un centro d’accoglienza profughi nel sud della Puglia. Avrebbe ottenuto il suo permesso di soggiorno due giorni dopo. Questa è una pagina del diario, trovata nella sua stanza. Il compagno di alloggio, Gelal, ha dichiarato alle forze dell’ordine di non aver sentito nulla. La moglie, Nereida Allushaij, appresa la notizia, tentò di togliersi la vita. Venne bloccata in tempo. Fu ritrovata circa due settimane dopo, a dieci chilometri di distanza dalla sua abitazione, nelle campagne limitrofe di Durazzo, assassinata con due colpi di pistola. Il marito non aveva pagato i suoi debiti.

Fonte iconografica http://www.kaiserjaeger.com

Fonte testuale di Stefano Donno da www.opifice.it

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